INEDITO – USA 2012
Anche questa è America
Red Hook Summer non è uno dei migliori film di Spike Lee. Se i documentari del regista di Atlanta si fanno ogni volta più riusciti, i suoi lavori di finzione da Inside Man a oggi risultano poco efficaci, come avessero perso la verve polemica e incisiva di un tempo.
La sua ultima fatica conferma forse un periodo di scarsa ispirazione per l’autore, che ha però già più volte abituato il suo pubblico ad altalenanti alti e bassi, comunque sempre coerenti con la propria idea di cinema. Così è anche Red Hook Summer, storia di (mancata) formazione del giovane Flik spedito a trascorrere le vacanze estive dal nonno nel povero isolato di Brooklyn che dà il nome al film. Qui il ragazzino si scontrerà con una realtà ben più ardua di quella a cui è abituato, vivendo sulla propria pelle, al fianco dell’amichetta Chazz, i dolori di un’adolescenza già difficile di per sé, complicata ancor di più dall’universo di miseria e povertà che vi gravita attorno. In un ristretto spazio urbano dove convivono drogati e spacciatori, sieropositivi e alcolizzati, poveracci e malati, l’unico conforto pare essere la piccola chiesa guidata dal Reverendo (e nonno di Flik) Enoch Rouse, riferimento per i pochi che ancora riescono a guardare al cielo non con rabbia ma con una fede messa sempre più a dura prova dall’inferno di Red Hook. L’appassionato Rouse cercherà in tutti i modi di riavvicinare il nipote alla fede, ormai persa dopo la scomparsa del padre in Afghanistan. Quando le cose sembrano prendere la giusta china, un passato rimosso torna alla luce, venendo a mettere in crisi il delicato equilibrio tra i due e più in generale con la parrocchia. Come in ogni lavoro di Lee, la realtà è ben più complessa di quello che sembra e la dicotomia buono/cattivo è quanto mai superficiale.
È vero, stavolta il regista ha messo troppa carne sul fuoco, ma guardando al suo lavoro più in profondità, si può forse comprendere l’intento del film: non tanto l’ennesima storia di e sugli afroamericani, quanto uno spaccato sociale di una comunità che da trent’anni a questa parte (da quando cioè Lee ha iniziato a fare film) non è riuscita a migliorare più di tanto la sua condizione sociale, a scapito prima di tutto dei bambini, vittime inconsapevoli di colpe non proprie, veri Jesus of America in cui il regista ripone ancora una volta la sua fiducia e speranza per il futuro. Attraverso uno stratificato gioco di autocitazioni, Red Hook Summer viene così a farsi una sorta di compendio del cinema leeano, un vademecum che – a scapito della resa finale – racchiude il suo pensiero e le tematiche forti della sua opera. In tal modo Lee torna a parlare dell’altra America, quella ancora isolata in ghetti fisici e mentali e, forse per comodità, accantonata dalle istituzioni come segno di un loro fallimento nella gestione della realtà nazionale. Dispiace perciò che l’incisività del regista qui si disperda in una moltitudine di schizzi abbozzati piuttosto che incentrarsi su un ritratto dettagliato di un unico soggetto. Ma gli Stati Uniti sono anche questo: un insieme di realtà, singole quanto collettive, spesso contrastanti e in conflitto tra loro, che esprimono la contraddittorietà tipica nella Nazione. Spike Lee lo sa bene e anche questa volta ha provato a parlarne.
Red Hook Summer [Id., USA 2012], REGIA Spike Lee.
CAST Jules Brown, Thomas Jefferson Byrd, Toni Lysaith, Clarke Peters.
SCENEGGIATURA Spike Lee, James McBride. FOTOGRAFIA Kerwin DeVonish. MUSICHE Bruce Hornsby, Judith Hill, Jonathan Batiste.
Drammatico, durata 121 minuti.