Lontano dagli occhi, lontano dal cuore
Si corrono molti, moltissimi rischi, quando si vuole parlare, discutere, rappresentare una pagina talmente delicata del nostro passato come la persecuzione nazista nei confronti degli ebrei: per permettersi di raccontarla sono necessarie eleganza e discrezione nei modi, e spesso trasformare il dolore e il sacrificio in una serie di generiche convenzioni, poiché la verità è sempre maledettamente difficile da raccontare, è un’ottima via di fuga.
Agnieszka Holland invece non ha paura di entrare nella Storia, diventando il dodicesimo membro del suo piccolo gruppo di protagonisti. Siede con loro nelle fognature di Lvov, mentre trascorrono inesorabili quattordici mesi di segregazione necessaria alla sopravvivenza, mentre si aspetta un improbabile salvatore polacco, Leopold Socha, ispettore fognario che li protegge in cambio di denaro. Più di tre quarti del film sono girati sottoterra, in un labirinto di cunicoli, stretti passaggi e umidità malsana: è proprio quest’ultima che sembra un miasma velenoso, capace di penetrare nelle ossa e portare alla disperazione, forse più del senso di clausura, dei ratti, della paura. Non si parla di deportazione nonostante sia un film su e per l’Olocausto: è una storia di sopravvivenza, di forza di volontà, di accettazione, di solidarietà, speranza e amore. Il tutto racchiuso in passaggi sempre troppo stretti da attraversare, che paiono stringersi addosso allo stesso spettatore, pareti che si sgretolano sotto le unghie di una donna che ci si aggrappa mentre sta partorendo. Inevitabilmente, tornano in mente Schindler’s List e Il pianista, con i quali In Darkness, quatto quatto, riesce a reggere il confronto. Da un lato, smarcandosi dall’alquanto costruito sentimentalismo vittorioso del film di Spielberg, la Holland crea con successo veri momenti drammatici che portano a una riflessione intelligente su personaggi ben costruiti, tutti necessari e ponderati per la completezza della storia. Dall’altro, si compete con la tristezza infinita dell’opera di Polanski, che celebra la salvezza come personificazione della speranza, concentrandosi sui significati, non sulla risoluzione: In Darkness lavora su sentimenti, su decisioni da prendere e sul coraggio di intraprendere una strada che pochi avrebbero scelto, sia dal punto di vista delle famiglie ebree, sia di quella polacca. In un’atmosfera espropriata del colore, l’unico tocco di luce sono le scarpe rosse della bambina nascosta, Krystyna Chiger, la prima a uscire e l’unica superstite ancora in vita, capace nel 2008 di raccogliere le proprie memorie in un libro, La bambina col maglione verde: una vita all’ombra dell’Olocausto, purtroppo pubblicato troppo tardi per diventare una risorsa utile al film.
In Darkness [W ciemnosci, Polonia/Germania/Canada 2011] REGIA Agnieszka Holland.
CAST Robert Wieckiewicz, Benno Fürmann, Agnieszka Grochowska, Maria Schrader, Herbert Knaup.
SCENEGGIATURA David F. Shamoon (tratto dal romanzo In the Sewers of Lvov di Robert Marshall). FOTOGRAFIA Jolanta Dylewska. MUSICHE Antoni Komasa-Lazarkiewicz.
Drammatico, durata 144 minuti.