La catena non si è spezzata
Ci mancherebbe che in America si facessero ancora film razzisti, a quasi centocinquant’anni dall’abolizione della schiavitù e a circa cento dal film più rappresentativo di quella mentalità (Nascita di una Nazione)! Ma con la presunzione che gli è cara, Tarantino tratta la dolente tematica senza evitare luoghi comuni vetusti, pur tuttavia non del tutto rimossi dall’immaginario collettivo.
Il regista – che in passato sosteneva “negro è solo una parola” e di conoscere la cultura afroamericana meglio di un qualsiasi nero, perché sua madre ne aveva avuto uno per compagno – qui ripropone, come in Jackie Brown, modelli e situazioni care ai film di blaxploitation, in particolare al sottogenere slaveploitation (Mandingo, Drum, ecc.). Il risultato è dunque una mistificazione di un evento tragico e traumatico, le cui ferite ancora presenti nella coscienza comunitaria afroamericana hanno fatto alzare un coro di proteste contro un’opera non razzista, ma frutto di un’ignoranza di fondo riguardo al tema, che epicizzandolo come un western e spettacolarizzandolo a fini puramente estetici, ricade in una sorta di razzismo di ritorno. Escluse le incongruenze – poco credibile che Django, appena liberato, parli un inglese forbito e sappia cavalcare e sparare, come poco plausibile che lo schiavista Big Daddy si rivolga con garbo a serve bendisposte o che gli uomini di Candie, alla sua morte, accettino di buon grado gli ordini del maggiordomo nero Stephen – il tasto dolente è la rappresentazione degli afroamericani, frutto di un retaggio culturale che ancora fatica a perdersi. Sorvolando sui vari e praticamente anonimi Roscoe, Coco, Sheba e Cora posti qua e là a ornare lo sfondo e all’inutile Broomhilda – furbo pretesto per la seconda parte della pellicola – ciò che salta all’occhio è la meschinità del succitato maggiordomo, ipocrita e approfittatore quanto il suo padrone e la subalternità di Django nei confronti di Schultz. Come nei buddy movie interrazziali, il bianco risulta l’indiscusso leader del duo a cui il secondo fa da spalla sposandone la causa, qui l’etica del cacciatore di taglie: cervello e muscolo, ruoli ben distinti e mai invertibili. È infatti attraverso l’ingegno dell’amico che Django raggiunge il proprio obiettivo, senza però conquistare un’identità autonoma, facendosi in definitiva doppio (perché uguale) opposto (perché nero) dell’altro, un suo surrogato (non) libero da catene. Una brutta storia che ancora non ha fine.
Django Unchained [Id., USA 2012], REGIA Quentin Tarantino.
CAST Christoph Waltz, Jamie Foxx, Leonardo Di Caprio, Samuel L. Jackson, Kerry Washington.
SCENEGGIATURA Q. Tarantino. FOTOGRAFIA Robert Richardson. MUSICHE Autori Vari.
Western, durata 165 minuti.