Una racconto fondativo
Narrare non è un’arte semplice, e Tarantino probabilmente è uno dei maggiori narratori contemporanei. Frase complessa e magari azzardata, questa, e non basta, per esser motivata, il semplice esempio dell’eterogeneità che compone il folto pubblico tarantiniano.
Tarantino ha l’abilità, rarissima ormai nel cinema contemporaneo, di suscitare un’attrazione e un gusto per la scoperta narrativa non facile da riscontrare altrove: è vero che parte di essa deriva dalla curiosità estetica nel vedere il modo in cui la messa in scena avviene, ma ciò non dipende solo da questo, e Django Unchained è il film perfetto per cogliere questa sua abilità.
Salutato da più parti come la pellicola meno sperimentale proprio dal punto di vista del racconto, dove vige la linearità, Django si appoggia infatti sull’idea classica del viaggio dell’eroe, ed è innegabile come questo tolga un certo brio e sorpresa al narrato tarantiniano. Il regista statunitense potrà apparire come un autore in cambiamento e maggiormente educato, ma probabilmente è un autore più maturo, e alcuni coglieranno questo fatto come un rallentamento del suo percorso, ma a mio parere non è così. Non che sia assolutamente necessario far affidamento a forme e strutture precostituite nel realizzare un’opera completa, ma la scrittura di Tarantino sta subendo una trasformazione che dona simboli e significati sempre più paradigmatici nella costruzione di un senso unitario.
Non che prima non andasse bene, si badi, ma Tarantino abbraccia sempre più l’idea della grande narrativa fondativa americana. L’uso stesso della violenza assume un ruolo diverso: essa perde, in determinati e fondamentali momenti come nella morte di uno schiavo sbranato vivo, il suo tipico aspetto iperbolico per farsi reale e insostenibile divenendo simbolo dell’accettazione del sacrificio altrui in onore al proprio obiettivo, rappresentante nonché il mito fondativo di un’intera nazione. Il richiamo a Sigfrido appare quindi dentro una logica di costituzione archetipica di un intero popolo, come il racconto nordico lo è diventato per la cultura germanica, Tarantino vuole fare di Django un eroe epico, l’essenza dello spaghetti western, e mitico, in cui le libertà storiche lo liberano da un rigido flusso storico, della cultura americana, e dove quest’ultima non è solo multirazziale ma essenzialmente pop.
Django Unchained probabilmente non sarà il miglior film del suo autore, come non sarà un punto di arrivo, ma una cosa è sicura: mai come ora, per Tarantino, l’alto e il basso sono stati così vicini.
Django Unchained [id., USA 2012], REGIA Quentin Tarantino.
CAST Christoph Waltz, Jamie Foxx, Leonardo Di Caprio, Samuel L. Jackson, Kerry Washington.
SCENEGGIATURA Q. Tarantino. FOTOGRAFIA Robert Richardson. MUSICHE Autori Vari.
Western, durata 165 minuti.