Tra ricordo e immaginazione
“Il tuo passato non è invitato”, decreta Lancaster con il sussiego delle frasi fatte. Tanto munifico e compiaciuto quanto Freddie è gretto e contrito, rattrappito nel fastidio di se stesso. Scientology e la Seconda Guerra Mondiale, il reduce discepolo e il maestro santone, l’uomo ridotto alla brutalità ferina dell’impulso e quello diluito nel pozzo senza limiti del culto, la deriva più arbitraria dell’immaginazione.
Paul Thomas Anderson scrive e dirige un film sull’individuo, sulle facce opposte e identiche della sua duplice nevrosi. Quella tra istinto ferito e onanistica astrazione, tra una realtà crudelmente materica e una mistificazione inconsistente. Novelli Dr. Jekyll e Mr. Hyde, i protagonisti di The Master attraversano come possono l’esistenza. L’uno franando instabile, l’altro incedendo con spocchia, il primo schiacciato dal passato, il secondo ostinato a marciarci sopra. Ma il passato non perdona e il sogno non gratifica. Non c’è un posto per l’irruenza tattile di Feddie e ce n’è troppo per le astratte fantasie di Lancaster. E se il primo continua a sbattere contro un muro (“è sempre una parete del cazzo”), l’altro lo addestra al giogo della mente perché con la realtà ha smarrito ogni contatto. Risposte inadeguate per bisogni indefiniti, esercizi di fisicità frustrata che non portano ad altro che a chimere posticce.
Attorno a loro, in realtà, c’è il deserto. Ce lo mostrano eloquenti le immagini fluviali, l’oggettività implacabile dell’inquadratura. L’acqua che scorre e il viale alberato, uno incontenibile e convulso, l’altro intrappolato da un apparato che regge se stesso. Non basta indicare un punto e inventarsi una meta, non basta decidere dove si vuole arrivare. Tutto sommato non basta neanche arrivarci. E nel divario tra il farlo e il sognarlo sta la distanza incolmabile tra i due, la ragione profonda del loro attrarsi. Lancaster evoca un altrove che Freddie non conosce, un indistinto punto di fuga per eludere se stessi. Freddie incarna l’atto che succede all’intenzione, il banco di prova di quel che Lancaster può speculare solo in potenza. America tra rimosso e velleità che Paul Thomas Anderson affronta di petto, proprio quando nega di volerla raccontare, con il passato bellico a emblema dell’irrisolto e la setta come icona dell’utopia, il reduce magro e cinereo e il mistico florido e rubicondo, entrambi privi di direzione. Freddy che guarda a Lancaster con cieca aspettativa e lui che lo ricambia con nostalgica indulgenza. Perché ciascuno è ciò che l’altro non sarà mai, o non è più. Un reciproco scrutarsi fatto di intima ammirazione, un atavico riconoscere la parte “aberrata” della propria anima (“Dove ci siamo già visti io e te?”). Fino al doloroso specchiarsi finale, nella tragica comprensione che dietro all’uno come all’altro – al rimpianto come al sogno – c’è solo il vuoto della solitudine.
The Master [Id., USA 2012], REGIA Paul Thomas Anderson.
CAST Joaquin Phoenix, Philip Seymour Hoffman, Amy Adams, Laura Dern.
SCENEGGIATURA Paul Thomas Anderson. FOTOGRAFIA Mihai Malaimare Jr. MUSICHE Jonny Greenwood.
Drammatico, durata 144 minuti.