Come l’acqua
Sorridi all’obiettivo. Mettiti in posa. La messa in piega, il vestito della festa. I colori pastello, spennellati sopra quel che resta della guerra. Sorridi. Mangia, prega, ama. Produci, consuma, crepa. Flash.
Paul Thomas Anderson ci tiene a dire che The Master non è un film sull’America, ma il racconto di un incontro, di due personaggi opposti e complementari, della ricerca di un senso che abbia senso dentro un mondo senza senso. Ha ragione, Paul Thomas Anderson: Lancaster Dodd e Freddie Quall si stagliano titanici sullo sfondo di una pellicola immensa, strabordano dallo schermo, speculari ma non simmetrici, antitetici ma non (sempre) in contrasto. Il primo viaggia sul limite sdrucciolevole che divide i visionari dai folli, i maghi dai ciarlatani: piacevole, accogliente, affascinante, sottilmente inquietante; il secondo si agita irrequieto, animalesco, carnale e violentissimo, cicatrice vivente ricucita alla bell’e meglio sopra traumi troppo profondi per un’unica vita. Il primo è colto e sinuoso, il secondo ignorante e spigoloso, e i due giganteschi interpreti sembrano mangiarsi voracemente tutto il resto – Hoffman placidamente adagiato nel (suo) voluttuoso e pericoloso Sogno Americano, Phoenix rattrappito in una postura rigida e scomposta, corpo deformato dal peso del circostante, parlata arroventata, esplosione continua. The Master si arrampica su questi due pilastri, detta i tempi sui loro ritmi, inchioda lo spettatore con botta e risposta senza respiro tra maestro e allievo, si dilata sulle cadenze del loro rapporto in costruzione e/o opposizione. Un rapporto sbilanciato, dove un padre/padrone affettuoso e spietato mette il guinzaglio a un figlio/bestia orfano di tutto, per ridurlo a dimostrazione dei propri teoremi. The Master è la storia di una sopraffazione, individuale e collettiva. La storia di un’esigenza primaria come l’ossigeno, cioè quella di una spiegazione a cui credere disperatamente per non naufragare nell’abisso del nulla, quando infilarsi negli abiti prestabiliti dall’ordine delle cose toglie il respiro fino al soffocamento. La storia di come, annaspando nel vortice di vuoto, ci si afferri agli altri per restare a galla, a volte spingendoli sotto le onde. The Master è una storia d’amore, rabbioso, crudele, lancinante e impossibile. Una storia di traumi irrisolti, e dunque la storia dell’America, nazione che su traumi irrisolti si forma, di traumi irrisolti si nutre. Nazione di Padri pellegrini, plagiata dalla Madre patria. Lo dicono le immagini di forza kubrickiana, immacolate e terse, potentissime e dense, cartoline anni ’50 di un benessere che non serve, che non basta, che non risponde, movimenti di macchina avvolgenti e implacabili che non lasciano scampo. Lo dice la colonna sonora, ipnotica e dissonante, che applica su di noi la cura regressiva di Lancaster Dodd, affondandoci sempre più giù, levandoci il fiato. Lo dice l’acqua, che scorre, ricorre, cancella, modella, perdona, dimentica, asfissia, brucia. Illude di una pace (im)possibile. Consuma, consola. Flash.
The Master [Id., USA 2012], REGIA Paul Thomas Anderson.
CAST Joaquin Phoenix, Philip Seymour Hoffman, Amy Adams, Laura Dern.
SCENEGGIATURA Paul Thomas Anderson. FOTOGRAFIA Mihai Malaimare Jr. MUSICHE Jonny Greenwood.
Drammatico, durata 144 minuti.