Fratelli disumani
Sono più simili di quanto possa sembrare, Lancaster Dodd e Freddie Quell, entrambi sperduti in un mondo in cui non riconoscono le coordinate della normalità: a Freddie non interessa, lui attraversa gli spazi prendendosi ciò che i suoi istinti gli suggeriscono; Dodd invece si erge al di sopra e trasforma il suo disgusto per la bestialità degli uomini in arte da pifferaio magico, forte di una capacità persuasiva fuori dal comune, e di una moglie, incinta, che tiene le redini del tutto più di quanto è dato pensare, e con meno scrupoli non fa mistero della certezza di combattere per un dominio, come in una guerra.
Da un lato la vita ramenga del traumatizzato stolto, il cedimento programmatico agli istinti più bassi. Trauma, memoria, tempo che viene confuso e abbattuto a suon di pozioni tossiche per perdersi, occasione gustosa per i fanatismi addomesticanti del Maestro. Dall’altro il delirio di onnipotenza, l’ottusa certezza di una verità superiore e del compito moralizzatore, divulgatore; come negli intrugli di Freddie, gli ingredienti della Causa sono mutevoli, si deruba da ciò che ci si trova tra le mani: la chiave diventa la risata, il ricordare diventa “immaginare”. Lo spettatore si ritrova preso in mezzo a due personaggi impossibili da digerire, spaventosi con i loro diversi modi di usare violenza: e allora, nonostante Anderson non nasconda il giudizio sul Dodd ciarlatano e incapace di controbattere alle obiezioni più elementari, non si fatica a credere che alla fine sia rassicurante immaginare un reazionario ritorno al passato (individuale) di purezza con cui svestirsi delle brutture del presente. Il luogo è un’America del secondo dopoguerra che, se può dirsi immune dalle ferite inferte a città e civili, non può fare altrettanto riguardo alla funzione di terra di ritorno di anime spezzate, facile terreno per il germe della follia. Il passato di Freddie non viene mai indagato più di quanto facciano le domande incalzanti e i test di Dodd. Purtroppo ci è dato esperire solo la mancanza più rassicurante, la ferita d’amore autoinflitta che Freddie si decide a sanare troppo tardi. La scelta di Anderson di affidarsi ossessivamente ai volti e ai dialoghi evita la messa in prospettiva dei due protagonisti e del loro rapporto morboso: The Master è una efficace e pessimistica disamina del nulla, ma per essere un film che si incentra sugli uomini – intesi come genere umano, sulle loro debolezze, sull’ossessione di comprendere – lascia troppo nell’ombra, affidando tutto il carico di umanità/disumanità alle interpretazioni grandiose di Philip Seymour Hoffman e Joaquin Phoenix.
The Master [Id., USA 2012], REGIA Paul Thomas Anderson.
CAST Joaquin Phoenix, Philip Seymour Hoffman, Amy Adams, Laura Dern.
SCENEGGIATURA Paul Thomas Anderson. FOTOGRAFIA Mihai Malaimare Jr. MUSICHE Jonny Greenwood.
Drammatico, durata 144 minuti.