Adventureland
Il buon vecchio J.R.R. Tolkien conosceva l’arte della creazione di mondi e masticava correntemente l’elfico, il nanico e una dozzina d’altre lingue, ma i climax, nelle sue storie, stavano quasi sempre nei punti sbagliati.
È questo uno dei (tanti) motivi per cui le sue opere, soprattutto Il Signore degli Anelli, sono state ritenute “infilmabili”, fino a quando Peter Jackson è riuscito nell’intento, confezionando anche un’impresa produttiva e un’esperienza spettatoriale innovative e memorabili. Con Lo Hobbit ci riprova: pure i climax narrativi di questo romanzo bisticciano con le regole della sceneggiatura hollywoodiana, e, dopo poco meno di 10 anni, Jackson deve confrontarsi non solo con la mole d’aspettative scatenata da un fandom portentoso, ma anche con l’eredità cinematografica della sua stessa trilogia dell’Anello. Le malelingue insinuano che l’espansione di Lo Hobbit a oggetto tripartito sia l’ennesima trovata commerciale per moltiplicare biglietti e incassi, ed è sicuramente vero (ma non trascuriamo i problemi di script di cui sopra). Più interessante, però, è come si misura Jackson con questa decisione. L’approccio è simile a quello usato in Il Signore degli Anelli, cioè usare il volume come un macrotesto di cronache e storie da indagare, spezzare e rimontare nell’ordine giusto (cinematograficamente parlando). Solo che in Lo Hobbit il macrotesto in questione non è solo il romanzo di partenza, ma tutto il corpus della letteratura tolkieniana, conseguente al fatto che l’universo finzionale inventato dall’autore britannico è un mondo coerente e trasversale ai testi che lo compongono, capace di srotolare Storia, storie e cosmogonia interrelate tra loro. Allo stesso modo in cui la camera di Jackson plana sulla Terra di Mezzo, spostandosi da un luogo all’altro, così mette insieme una narrazione includendo Appendici, Racconti incompiuti, spunti dal Silmarillion. Il problema sta in una questione di registri: Lo Hobbit è una storia per bimbi dal tono fiabesco e ironico, il resto è (quasi sempre) epico, aulico, mitopoietico. Così, se tutto si tiene a livello di coerenza narrativa, il ritmo e la messa in scena si fanno, almeno in questo Un viaggio inaspettato, schizofrenici e altalenanti. Fortunatamente, Jackson condivide con Tolkien, oltre all’arte di creare mondi, anche il senso di meraviglia necessario a costruire momenti e sequenze straordinariamente evocativi: la seconda parte di Un viaggio inaspettato, dalla lotta tra i Tuoni fino al riuscitissimo confronto Gollum/Bilbo sono splendidi brani di cinema fantastico. Che ci lasciano impazienti di vedere il seguito, perché esattamente come ogni testo di Tolkien, anche questo primo film è solo il frammento di una grande, appassionante, unica avventura.
Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato [The Hobbit : An Unexpected Journey, USA/Nuova Zelanda/Gran Bretagna 2012] REGIA Peter Jackson.
CAST Ian McKellen, Martin Freeman, Richard Armitage, Cate Blanchett.
SCENEGGIATURA P. Jackson, Guillermo Del Toro, Fran Walsh, Philippa Boyens. FOTOGRAFIA Andrew Lesnie. MUSICHE Howard Shore, Neil Finn.
Fantasy/Avventura/Epico, durata 169 minuti.