30° Torino Film Festival – 23 novembre 2012/1 dicembre 2012
In the name of the (technological) law
Squilla il telefono in un fast-food. Dall’altro lato della cornetta, un falso agente di polizia comunica alla direzione che Becky, una dipendente, ha rubato dei soldi ad una cliente. Nessuna pattuglia è in zona, ma la legge riuscirà ugualmente a esercitare il proprio potere, commissionando una caccia al tesoro sul corpo della ragazza per scovare il malloppo nascosto.
Il curioso fenomeno (l’ennesimo negli States) di scherzi telefonici sfociati in abusi sessuali, con oltre 70 casi accertati in dieci anni e l’appellativo di “jerky boys” coniato per i maniaci burloni, ridimensiona l’alone grottesco che permea la sceneggiatura di Compliance, affidando un peso di maggiore credibilità alla storia. La polemica sul “pecoronismo” imbastita dal film si muove su molteplici piani, buttando sul fuoco un enorme barbecue di spunti. Pure troppi. Innanzitutto la provocazione parte da una concezione tradizionale del comando, inserita in un geo-contesto (la provincia americana), in cui la fiducia nelle autorità gode da sempre di un valore considerevole. Dopodiché il discorso si estende a implicazioni socio-politiche di ben più vasta portata, alla realtà fittizia introdotta dai dispositivi elettronici (e ai muri innalzati da essi), alle relazioni umane regolate a distanza, alla sudditanza tecnologica che porta a credere ciecamente a qualsiasi informazione, manipolando la verità e alterando lo sguardo. Come sottolineato dall’attore Pat Healy in conferenza stampa al 30° Torino Film Festival, “Non siamo più consapevoli delle conseguenze di ciò che può accadere, perché non le vediamo”. Ed ecco che la palla viene rilanciata direttamente sul pubblico, chiamato a provare in tempo reale le medesime sensazioni voyeuristiche e di morbosa curiosità condannate sullo schermo. Un circolo vizioso e perverso di cui diveniamo ignari protagonisti. Mentre gli aguzzini infatti sfilano l’ultimo indumento alla povera Becky, noi con loro restiamo in attesa di disposizioni, sospesi sulla lama tagliente di un conflitto interiore scisso tra attrazione e rifiuto, fascino e indignazione. Plagiati dal regista come dalla suadente voce telefonica, che ci costringe a prendere parte all’evento e a desiderare che la mdp si sposti, per consentirci finalmente di vedere meglio. Forse, per non caricare ulteriormente una riflessione comunque interessante, sarebbe stata preferibile la scelta di una diversa tipologia di vittima, ad esempio un anziano, o un animale, per non attirarsi anche l’abusata etichetta di pellicola misogina. Un rapporto, quello con la violenza sulle donne presente fin qui in rassegna, che potremmo definire “confidenziale”, consacrato dal disturbante Chained di Jennifer Lynch.
Compliance [Id., USA 2012] REGIA Craig Zobel
CAST Ann Dowd, Dreama Walker, Pat Healy.
SCENEGGIATURA Craig Zobel. MUSICHE Heather McIntosh.
Drammatico, durata 90 minuti.