30° Torino Film Festival – 23 novembre 2012/1 dicembre 2012
Figure a pezzi
“Gli essere umani sono come puzzle: figure fuori, pezzi dentro”. E se i pezzi, lacerati ai bordi, erosi nella geometria delle loro essenze, non riuscissero più a incastrarsi e a comporre una figura riconoscibile nella sua interezza?
Bob (!) sa molte cose sugli esseri umani. Tim, invece, è solo un bambino. Un giorno Bob tortura e uccide Sarah, la mamma di Tim. Poi detta le regole della casa al suo inaspettato ospite – in catene e cinicamente ribattezzato “rabbit” – e la violenza torna a scorrere come in ogni altro giorno di un’abominevole esistenza. Apre all’insegna di un gelido coraggio la sezione “Rapporto Confidenziale” del Torino Film Festival, Edizione n°30. Tra spruzzi di noir, pennellate splatter di incubi irrisolti, ritratti di orride angosce serpeggianti tra le (finte) sicurezze di una iper-controllata quotidianità, la strada per la paura è lastricata delle peggiori intenzioni, quelle che al cinema piacciono tanto in quanto cibo prediletto di una fame atavica che si sazia solo con ricchi pasti a base di esorcizzazione visiva e piaceri voyeuristici. Porte aperte al dualismo, dunque: perché non c’è nulla di più atroce che scoprire il contagio dell’oscurità nelle presunte trasparenze delle cose conosciute, “scontate”. Lo sa bene Jennifer Lynch, figlia d’arte di un maestro della visionarietà dualistica, che al conturbante onirico di fattura paterna predilige il disturbante concreto di realtà dissimulate. E ci introietta in un vortice di violenze e abomini che gradualmente succhia ossigeno per obbligarci a respirare tortura. Spogliata di qualsiasi abbellimento estetico, contornata di una luce livida, la meccanica del gesto omicida sfianca nella sua asettica efferatezza. L’orrore satura il fuori-campo ma si annida nelle movenze e negli occhi raggelati di Tim, servo/”figlio” di un assassino/”tutore” cresciuto all’ombra delle più feroci violazioni. Il rimosso, crudele e inenarrabile, affiora in lampi di scorticanti ricordi e segna il regresso dell’umano allo stato brado, con animali-esseri irretiti in trappole di aberrante devastazione. Spinta fino al limite del sostenibile, la visione arretra a pochi millimetri dal baratro e ci salva dalla predestinazione: non esistono destinati segnati, la violenza non è la risposta definitiva. Forse… Nonostante un finale esplicativo che smorza la tensione così abilmente costruita nella prima parte, Chained rivela una regista dallo sguardo più maturo e consapevole, a tratti pregno di feroce intelligenza. Segno che la lezione di papà è stata ben assimilata: che si tratti di un villaggio ripiegato tra due picchi o di una casa/tana/nido marchiata dal grigio smorto dell’anonimia, non c’è luce che risplendi senza preservare angoli di oscurità. Ed è lì, tra quegli spazi che si fanno violenza bestiale e oblio della coscienza, che il cinema dei Lynch ci costringe in un inappellabile “vis-à-vis” con il volto (in)umano dell’abisso.
Chained [Id., USA 2012] REGIA Jennifer Lynch.
CAST Vincent D’Onofrio, Julia Ormond, Eamon Farren, Evan Bird, Gina Phillips.
SCENEGGIATURA Jennifer Lynch. FOTOGRAFIA Shane Daly. MUSICHE Climax Golden Twins.
Thriller/Horror, durata 98 minuti.