1934: nel film Death takes a holiday, diretto con il tocco sofisticato e malinconico che era proprio di Mitchell Leisen (tra i più sottovalutati registi americani) la Morte stessa scende sulla terra per vestire abiti umani e osservare la natura della sue vittime.
In un film che è un sublime delirio romantico, dai tratti onirici e mai sciropposi, la Morte finirà con l’avvicinarsi ad una creatura femminile sensibile, spirituale, attratta con fede e devozione dal suo fascino enigmatico e pronta a tuffarsi nelle sue tenebre. Ma la raffinatezza ed un delicato tono di commedia non devono ingannare: Leisen esclude qualsiasi conciliazione tra la “disumanità” del divoratore di anime e le leggi terrene. Il film mette in scena in un quadro dolente l’incontro tra la polvere del nulla e il soffio vitale del sentimento senza lasciar spazio a rassicuranti illusioni. Frederic March, che interpreta la Morte in forme antropomorfe, mantiene un forte nucleo impenetrabile nella sua performance: egli è la fine, l’abisso, l’Altro dall’essere, il cui sentimento non lo umanizza. Sarà la donna a piegarsi al suo destino di vittima e sparire nel suo abbraccio. Con uno sguardo aperto e coraggioso, il film non nega l’inquietudine quotidiana, l’urlo che scava gli occhi: cio che è disumano e mostruoso resta tale senza essere integrato nell’universo esperienziale; permane come una scintilla che accende le nostre paure ed immaginazioni, e che diffonde crepe nella nostra realtà.
2012: quasi un secolo dopo, il cinema americano rovescia questa capacità di rispettare la categoria del “disumano” (sia essa incarnata dalla morte, o dalla sua raffigurazione simbolica in un mostro) riconducendola ad un germe controllabile. I vampiri della Mayers, nella loro totale povertà cinematografica priva di memoria storica e culturale, sono il segno della grande presunzione americana di piegare sia il mondo visibile, quanto l’invisibile, alle proprie leggi. Famiglia, correttezza, buonismo, luce del giorno, operosità; i vampiri mettono su famiglia e rinunciano persino alla notte. Rinunciano al male, a succhiare certezze, e a cavare spietatamene il sangue dalle vene dell’esistenza. Il rifiuto del perturbante (sostituito da una facile catarsi, e da una visione illuministica della supremazia dell’uomo) nel cinema americano assume un valore politico e culturale, tratteggia un atteggiamento mentale di patriottica faciloneria che nega il tormento e la ricerca esistenziale. Il mostro umanizzato è il volto di una nuova ignoranza. Baudelaire inseguiva l’abisso in cui la propria anima si specchiasse a rovescio, ed il vampiro che con un bacio maledetto spalancasse le porte della sua percezione. Il cinema americano cerca vacue luccicanze di un male addomesticato, capace solo di contemplare il proprio ombelico.