In una società come quella contemporanea, abituata ad avere un’opinione su qualunque argomento compreso ciò di cui palesemente non ha competenza, il critico si è fatto figura culturale sempre più marginale.
Stoicamente, egli si rapporta ad un pubblico molto spesso poco interessato a un vero e approfondito confronto sul testo, convinto com’è che il suo valore sia riducibile a una dicotomia di gusto “bello/brutto”, “piace/non piace”. L’analisi dell’oggetto in questione mirante a leggerne i contenuti più profondi viene così meno, in un’azione che – sotto l’apparenza di democratizzazione del giudizio individuale – si fa in realtà semplice valutazione di un’opera depauperata ormai del suo significato intellettuale, sancendo in definitiva l’inutilità del gesto critico. Proprio tale gesto diventa perciò, in questo contesto, segno di un’opposizione mentale quanto etica a una generalizzata banalizzazione al fine di rendere “tutto alla portata di tutti”, appiattendo e semplificando qualsiasi discorso a un livello base, privo dei contenuti necessari a sviluppare un pensiero profondo, maturato secondo una propria visione della cose.
L’essere critici oggi richiede perciò la formazione di un punto di vista personale acquisibile solo attraverso un esercizio intellettuale costante, che sviluppi la capacità di leggere e mettere in relazione anche aspetti ed elementi apparentemente lontani tra loro, permettendo in tal modo una visione sempre più ampia di ciò che si ha attorno. È così che l’opinione diventa motivata, tale da assumere la caratterizzazione di un parere che va oltre l’estimazione puramente estetica, facendosi espressione di un’interpretazione – positiva o negativa, ma sempre e comunque critica – della realtà contemporanea.
Uno sforzo utile e necessario, il cui impegno, per i sacrifici e i risultati che porta e comporta, può risultare agli occhi dei più pleonastico se non addirittura fastidioso, saccente, moralistico, in una parola sgradevole. Perché come diceva Elio Petri, quella attuale è “una società che ormai richiede la gradevolezza a tutto, persino all’impegno: se l’impegno è gradevole, e quindi non dà fastidio a nessuno, lo accetta. Altrimenti no”.