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Ballata dell’odio e dell’amore

sabato 10 Novembre, 2012 | di Valentina Di Giacomo
Ballata dell’odio e dell’amore
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L’ira funesta che infiniti lutti addusse
È nella Spagna del 1937 che si apre Ballata dell’odio e dell’amore, l’ultimo lavoro di Alex de la Iglesia. Premiato per la regia alla 67a Mostra internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, il film ci catapulta in medias res: a colpo di stato franchista già avvenuto, in piena guerra civile; dramma che costerà circa un milione di morti e l’inizio di una dittatura lunga quasi quarant’anni.

Lo spettacolo di due pagliacci viene interrotto da un’irruzione del fronte Repubblicano, il pubblico dei bambini terrorizzato si disperde. Il piccolo Javier vorrebbe seguire suo padre, ma questi viene reclutato come combattente. Le sue ultime parole lo spronano alla vendetta; innestano nella sua mente di bambino il seme dell’odio. È infatti la storia di Javier che de la Iglesia vuole raccontarci. La storia di un bambino cui è stata negata l’infanzia; ma anche la storia di un Paese che si ritrova ad essere,mediacritica_ballata_dell_odio_e_dell_amore_290 in pieno Novecento, teatro di un brutale scontro tra destra e sinistra, tra fascismo e democrazia. Discendente da una stirpe di pagliacci allegri, Javier diventerà invece pagliaccio triste: mai potrà, nella sua vita, far ridere i bambini. Lo ritroviamo nel 1973 alla ricerca di un lavoro. Impiego che trova nel circo in cui lavora Sergio, uomo autoritario e crudele, anch’egli pagliaccio, con il quale Javier entrerà tuttavia in forte contrasto per l’amore della bella acrobata Natalia. Nella giovane donna albergano anime opposte e inconciliabili. Una incontenibile componente masochistica e perversa la sottomette a Sergio, dipendenza che avrà un impatto violentissimo sullo stato d’animo di Javier. Amore impossibile, Natalia diviene per lui un’ossessione che lo condurrà a varcare la soglia del subumano, e ad incidere per sempre sulla propria pelle la maschera del mostruoso. Completamente assenti nella regia di de la Iglesia, la verosimiglianza e la linearità del racconto lasciano il posto ad uno stile a ridosso tra il grottesco e il surreale che, sebbene originale nella ripresa di alcuni importanti archetipi di genere e di un certo impatto nel suo risultato globale, risente di alcune debolezze che allontanano la vicenda dalle coordinate iniziali. Solo vagamente accennati nei peculiari titoli di testa, i riferimenti storici perdono consistenza, conferendo progressivamente alla narrazione i toni universali della tragedia greca. Ed è in questo sfumare dei toni, desautorati e patinati della fotografia, che probabilmente la storia di Javier si conferma bizzarra proiezione visionaria dell’autore: della spietata realtà della guerra civile prima, della dittatura poi. E dell’inesorabile destino dell’essere umano, privato di ogni umanità. Come nel celebre Guernica di Picasso, anche nell’incubo impazzito di de la Iglesia i consueti riferimenti saltano: e con essi le differenze tra umano e animale, dimensioni che si compenetrano e fondono fino a ricomporre un nuovo, inquietante quadro di incongrue corrispondenze. Allo stesso modo i volti di Javier e Sergio: maschere di un Paese deturpato e annichilito nella sua umanità, i cui occhi solo alla fine vedranno, in lacrime, il frutto di un passato impossibile da emendare.

Ballata dell’odio e dell’amore [Balada triste de trompeta, Spagna/Francia 2010] REGIA Alex De la Iglesia.
CAST Carlos Areces, Antonio de la Torre, Carolina Bang, Manuel Tallafé.
SCENEGGIATURA Alex De la Iglesia. FOTOGRAFIA Kiko de la Rica. MUSICHE Roque Baños.
Commedia, durata 107 minuti.

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