INEDITO – CINA 2011
Quando l’abito fa il monaco
“Mi dispiace, non sono i miei vestiti” si scusa Yu Mo nella sola parentesi d’amore che si concede con John Miller. Non lo sono perché Mo è una prostituta e quelli che ha indosso sono abiti da educanda. Non si tratta di un gioco erotico ma di un terribile sacrificio.
E’ il 1937, Nanchino è invasa dai giapponesi e un drappello di soldati ha intenzione di sequestrare dodici ragazzine rifugiate in una chiesa. A proteggerle, solo un bambino, un falso prete occidentale e dodici donne del quartiere delle lanterne rosse. Per il suo ultimo film Zhang Yìmóu torna a esplorare la tragica invasione della Cina affrontata agli esordi con Sorgo Rosso (1987). Il massacro che costò la vita a 300.000 civili si riversa in The Flowers of War con una copiosa sfilata di morte. Tra la polvere che tutto ricopre, a partire dal protagonista, e i cadaveri stipati in massa ai bordi delle strade, la linea è sottile tra eroismo ed egoismo e la scelta questione di istanti. Non è un caso che l’intera opera si regga su continui cambi d’abito che alludono ad altrettante perdite e sostituzioni d’identità. John ne è l’esempio lampante. Giunto alla chiesa in abiti civili, indossa i panni del prete scomparso, prima per sedurre l’affascinante Mo, poi per salvarsi e, infine, per salvare. Altrettanto accadrà alle prostitute quando, in una delle scene più riuscite, John – che di solito prepara i cadaveri per la sepoltura – le trucca per renderle simili alle fanciulle, ridonando loro l’infanzia perduta in un rituale comunque pre-mortem. Il cambio d’abito assume dunque la funzione di una sorta di inconsapevole iniziazione, dal valore fortemente simbolico. All’apparenza corrisponde l’essenza e osservare – o spiare – significa comprendere. Il simbolismo attraversa peraltro tutto il film alternandosi al realismo brutale delle atrocità compiute dai giapponesi. Il risultato è un affresco potente, articolato in immagini suggestive e in scene d’azione complesse ed efficaci. La tensione abilmente restituita e il crescente eroismo dei personaggi considerati “perduti” compongono un quadro che indigna e commuove, indipendentemente dai toni della colonna sonora, a tratti fin troppo calcata sul patetico. Molti sono i film che l’opera richiama, da Il gran lupo chiama di Ralph Nelson (1964) a City of Life and Death di Lu Chuan (2009) passando per Schindler’s List. Ma il regista de La città proibita e La foresta dei pugnali volanti trova la strada per un punto di vista insolito che si avvale del talento di Christian Bale e di una Ni Ni dal volto di porcellana.
The Flowers of War [Id., Cina 2011], REGIA Zhang Yìmóu.
CAST Christian Bale, Ni Ni, Zhang Xinyi, Tong Dawei.
SCENEGGIATURA Heng Liu. FOTOGRAFIA Xiaoding Zhao. MUSICHE Qigang Chen.
Drammatico, durata 141 minuti.