Come lacrime
L’amore e la morte che popolano il cinema non assomigliano a quelli che noi riconosciamo come consuetudine. L’amore e la morte messi in scena da Michael Haneke, Jean-Louis Trintignant e Emmanuelle Riva in Amour invece sì.
La Palma d’Oro al Festival di Cannes 2012 si apre mostrandoci il corpo senza vita della protagonista e prosegue in un teatro di cui inquadra solo gli spettatori attenti e partecipi. Come a dire: la morte di Anne non è un’anticipazione del finale, ma il destino univoco che ci attende. A esclusione dei primi minuti, il film è rinchiuso tra le mura di un elegante appartamento parigino. E si nutre di normalità invece che di eccezioni, illuminando l’amore e la morte dentro il dolore e le gioie del quotidiano. L’angoscia traspare da subito – la casa è stata violata da qualcuno, Anne si sveglia la notte fissando il vuoto, il mattino seguente perde la memoria, immobile, per alcuni minuti – e quel che segue è solo inevitabilità che attanaglia lo spettatore, impotente come Georges davanti a una dissoluzione irrimediabile. La luce filtra fredda da nuvole pesanti attraverso le grandi finestre della dimora, dentro le cui stanze la macchina da presa scivola sfiorando l’invisibilità ma conservando l’ombra di una presenza. L’appartamento tracima libri, quadri, musica, e, mentre si scende verso la fine, tutto sembra svuotarsi di senso: senza la presenza umana la cultura accumulata in una vita è solo vestigia mute, senza l’altra metà di un amore l’esistenza è mera riproducibilità meccanica, e così le passioni su cui si sono costruiti affetto e consolazione. Ogni intervento esterno è destabilizzazione e fastidio: l’amore e la morte sono quotidianità che la frustrazione sporadica di una figlia adulta e l’affettuosa comprensione di amici e vicini non possono afferrare. Amour non lascia parole perché più che cinema è verità. Lontanissimo in ogni senso possibile dal Melancholia dello scorso anno, ci dice della stessa fine ineluttabile che ci attende in fondo a tutto: tutto andrà perduto come lacrime nella pioggia, e con lo stesso banale e rassicurante scroscìo sui vetri. Gli spazi alla metafora concessi da Haneke a questo ritratto rigoroso e ineludibile sono momenti di cristallizzata perfezione, ambivalenti di illusione e desolazione. Non c’è senso nell’esistere, eppure per un periodo (più o meno breve) ci è dato, lo stesso, di afferrarlo, accarezzarlo, coccolarlo: ha le forme sgraziate di un piccione invadente, le rughe scavate di una mano conosciuta a memoria. E, a un certo punto, bisogna lasciarlo andare.
Amour [id., Austria/Francia/Germania 2012] REGIA Michael Haneke.
CAST Jean-Louis Trintignant, Emmanuelle Riva, Isabelle Huppert, Rita Bianco.
SCENEGGIATURA Michael Haneke. FOTOGRAFIA Darius Khondji. MONTAGGIO Nadine Muse, Monika Willi.
Drammatico, durata 126 minuti.
Pingback: Ladri di biciclette (1948) - Mediacritica – Un progetto di critica cinematografica
Pingback: La Top Ten Mediacritica 2012 - Mediacritica – Un progetto di critica cinematografica