Human Rights Nights International Film Festival, 17-21 Ottobre 2012, Bologna
Il corpo e i propri limiti
Giunto alla dodicesima edizione, il piccolo festival Human Rights Nights si fa sempre più importante e coraggioso strumento di riflessione e dialogo su tematiche attuali, in una forma che, sfruttando il linguaggio immediato e universale del mezzo cinematografico, dà voce e forma a realtà ancora troppo poco conosciute, ma indispensabili per una profonda dimensione multiculturale nella società contemporanea.
L’argomento di quest’anno, il corpo e le sue violazioni, è stato affrontato in maniera plurima dalla conferenza inaugurale sulla spinosa questione della bio-etica – ponendo l’accento sul confine tra libertà individuale e imposizione collettiva – dalla mostra degli scultori Alexandros Yiorkadjis e Elysia Athanatos (riflessioni materiche sul corpo come contenitore di energie opposte e contrastanti) e da Labirinto Quotidiano di Dim Sampaio, installazione artistica sull’assurda negazione alla libera circolazione dell’Uomo oltre i confini nazionali concessa, invece, ai prodotti del suo lavoro.
Oltre questi eventi collaterali, la sezione filmica si è articolata su più aspetti legati alla tematica, mettendo a fuoco varie declinazioni della problematica centrale, offrendo spunti e sguardi differenti per approccio e stile, in definitiva tutti connessi tra loro dalla necessità comune di tradurre in immagini situazioni altrimenti difficili da esprimere in maniera altrettanto efficace. I corpi migranti de La pirogue – in anteprima nazionale direttamente dall’ultimo festival di Cannes – A life on hold, Another life e This is my story. Or ours? testimoni delle speranze, delle attese, delle difficoltà dei troppo spesso, ma non sempre, fallimentari tentativi di fuga in cerca di un futuro migliore. Le violenze fisiche subite da ragazze e ragazzi costretti alla prostituzione (The price of sex, The dancing boys of Afghanistan), dai civili vittime di guerra (The suffering grasses: when elephants fight, it is the grass that suffers) o quelle culturali delle popolazioni indigene i cui rituali hanno perso il loro valore sacrale in favore di una mera attrattiva turistica (Framing the other); ma anche violenza come via di riscatto e di liberazione da costrizioni sociali come per le giovani pugilesse afgane (The boxing girls of Kabul). Corpi reclusi e ghettizzati entro limiti fisici quanto culturali per cui l’esterno è visto come ragione unica di resistenza e sopravvivenza (La Playa D.C., Loro dentro, Machine man, Toomelah), quanto come minaccia (Nomos). Infine il corpo come mezzo di comunicazione, veicolo di un linguaggio universale portatore di messaggi di pace e fratellanza (Film4peace, Do you really love me?, La transumanza della pace, un road movie montanaro italo/bosniaco), rispetto per l’ambiente (Ortobello, La terre outragèe, Gente di Terra madre), ma anche strumento di instancabile ribellione e dissidenza (Ai Weiwei: Never Sorry). Questi film, testimoni di cinematografie altrimenti invisibili cariche però di un’attualità praticamente assente in quelle dei circuiti mainstream, si fanno qui documenti indispensabili per comprendere il nostro tempo, sottolineando come il cinema possa (e debba) essere anche strumento di analisi e comprensione della società globale contemporanea e delle sue purtroppo ancora molteplici problematiche. Uno invito a guardare al mondo in maniera diversa, più consapevole e aperta al confronto e al dialogo, per formare un unico, inscindibile corpo comunitario.