Silenzio, uova e bacon
Ci hanno insegnato che due entità per diventare “Noi” hanno bisogno di tempo per capirsi e conoscersi, poi ne hanno bisogno per intendersi, e addirittura, talvolta, per decidere se e quando mettere la parola fine a questo “Noi”. Il matrimonio che vorrei di David Frankel (conosciuto per Il diavolo veste Prada) inizia con una grande ed eterna domanda: quando un matrimonio può dirsi finito? Forse mai, o forse sin dall’inizio.
Kay e Arnold sono sposati da 31 anni: i loro corpi sono cambiati, la loro camminata è diventata stentata e zoppicante quanto la loro storia, il loro amore, la loro sessualità. Kay decide di correre ai ripari: l’unica soluzione è la terapia di coppia con il dottor Feld. Oramai la quotidianità dei due è fatta di silenzio, uova e bacon, nessuna carezza, nessun bacio, solo rassegnazione, amore trascinato, stanze separate ricolme di parole non dette, spiegazioni non date e orgoglio ferito. I primi minuti del film sono fastidiosi, urticanti; non si racconta nulla, neppure il vuoto: quello provato da lei, che non si sente più desiderata e quello provato da lui, ormai privo di desiderio, fortemente legato al corpo di lei – meraviglioso e giovane nei ricordi di lui – e al suo stesso corpo, virile e “desiderante” un passato cui è incatenato, tanto da non riuscire a liberarsene. Un racconto del desiderio dunque, da ricercare, ricostruire, riprovare; ma c’è qualcosa che non va, qualcosa nell’ingranaggio si rompe, sembra che la storia non abbia mai quello scatto per il quale un film, anche banale e “già visto”, diventi Il Film, quello che ti fa dire “è già finito?”. Il matrimonio che vorrei è un film lento, faticoso, non instilla nello spettatore il sentimento di scoperta dei personaggi, del loro silenzio. Sembra esserci un solo enorme e “generazionale” problema: il sesso, raccontato come qualcosa di difficile, complicato, “naso rotto da rimettere a posto”. In questa analisi di coppia, nelle confessioni degli “sposini” sull’orlo di una crisi di nervi, tutto sembra già raccontato, le gag, a sfondo sessuale, sono trite e ritrite, il già visto giace tra le lenzuola dei nostri personaggi. La differenza è che il film di Frankel, forte dei suoi due interpreti, ha la supponenza di essere opera di contenuto, ricca di qualcosa di più della commedia americana classica, ma non lo è, e in fondo si spera solo che questo Matrimonio finisca presto.
Il matrimonio che vorrei [Hope Springs, USA 2012] REGIA David Frankel.
CAST Meryl Streep, Tommy Lee Jones, Steve Carell, Jean Smart.
SCENEGGIATURA Vanessa Taylor. FOTOGRAFIA Florian Ballhaus. MUSICHE Theodore Shapiro.
Commedia/Drammatico, durata 100 minuti.