Come lame
E’ già successo. Che al sole si sostituisse la pioggia. Frontiere dorate si convertissero in lande ombrose. Silenzi di morte si trasformassero in dialoghi eccessivi e reiterati, presagi di un destino infossato nel tempo insostenibile dell’attesa.
E’ successo con il cinismo spietato di Clint; con Scorsese e i fratelli Coen decisi a inondare di sangue esistenze e paesi; con Mann e Michôd intenti a scolorire quello stesso sangue in legami di destabilizzante specularità. E’ successo e sta succedendo di nuovo. Perché l’“epidemia da noir” è un virus che si alimenta nel brodo gelido della crisi, quella dei valori dispersi, dell’economia volatile, dell’autodeterminazione come desiderio per sempre procrastinato. Dove c’è noir, c’è insofferenza: aprirsi a questo “humus” contenutistico comporta riprogrammazione di vedute, consapevolezza piena e arguta delle cose da dire, coraggio nella scelta di percorsi alternativi. Il neozelandese Andrew Dominik accoglie la sfida e di angosce fa virtù: tra i miti offuscati e i grandi sogni sventrati getta un ponte di suoni, immagini e parole che di quell’insofferenza cattura l’anima ma solo per farne brandelli da disseminare nel caos di una personalissima decostruzione narrativa. Così, l’elegia nostalgica si sostituisce alla celebrazione ottimistica; così, la violenza si stempera nell’uso enfatico, “barocco”, della parola ma è pura illusione, gioco metaforico spinto all’eccesso, accumulo simbolico pompato a parodie e cliché. Da L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford a Cogan-Killing Them Softly c’è un fiume in piena che gradualmente s’ingrossa fino a spezzare i confini del genere ed esondare in terra di contaminazioni. Nascono universi capovolti nei quali l’eroe muore per mano di un vigliacco; killer professionisti e capimafia si muovono e contrattano come broker e CEO aziendali. Ma è solo una parte per il tutto: la vita ha più facce di una medaglia ed è nel movimento di riflusso che continuamente varia i piani semantici che gli universi citazionisti di Dominik trovano la loro ragion d’essere. Cogan insiste su questo movimento fino alla saturazione, e più che una ballata “pulp” produce tanti assoli dissonanti nei quali voci e immagini si rincorrono, si accavallano senza corrispondersi mai. Se poi a fare da fil rouge tra tanta decadenza c’è la coolness del miglior star system, questo non può che essere considerato un tocco da maestro: è l’incarnazione stessa del business, la sua icnografia più bella, a urlarci in faccia che è tempo, per i sogni, di morire. Un cinema che è come una stilettata sui denti, feroce e inevitabile. Vi sentirete affogare. Dolcemente.
Cogan – Killing Them Softly [Killing Them Softly, USA 2012], REGIA Andrew Dominik.
CAST Brad Pitt, James Gandolfini, Scott McNairy, Ray Liotta.
SCENEGGIATURA Andrew Dominik. FOTOGRAFIA Greig Fraser.
Thriller, durata 97 minuti.