Inesorabili evoluzioni
Breaking Bad è diventata, a distanza di anni, una serie di culto. Per un motivo molto semplice: la fidelizzazione a un prodotto come questo è derivata principalmente dalla cura con cui i personaggi si evolvono, cambiano, crescono.
Se la vocazione alla fattività delle industrie culturali (in altri termini, il fatto che queste “ci facciano fare qualcosa” ovvero ci inducano a consumare) è particolarmente calzante quando si parla di prodotti seriali, le serie televisive contemporanee, spesso e volentieri, a differenza dei film, lavorano sulla lunga durata per ridurre il divario tra la vita reale e ciò che vediamo sullo schermo. Per questo ci affezioniamo particolarmente a situazioni e personaggi. Di questo aspetto, Breaking Bad ne è l’esempio più tipico. Un’operazione basata principalmente sulla scalata verso il potere non può non soffermarsi nel dettaglio sui protagonisti, osservandone la lenta gestazione nel lungo cammino verso il successo. Se tutta la prima stagione è dominata da un Walter White timido, impacciato, costretto a lavorare in un autolavaggio per arrotondare il suo stipendio di insegnante di chimica, lo vediamo alla quinta con l’ago della bilancia inesorabilmente puntato verso Heisenberg, il proprio alter-ego, duro, spietato, amorale. E il tumore ai polmoni, vera e propria esca narrativa, ciò che rende possibile la scelta del protagonista di produrre metamfetamina, lentamente si fa da parte: Walter è fuori pericolo, ma il suo impero, il suo marchio, è più forte che mai. Il termine della quarta stagione segna un vero e proprio spartiacque per la serie; dopo il colpo di scena riguardante il personaggio di Gus Fring, Walter White raggiunge un picco evolutivo: diventa, pur in una nicchia di mercato (se così si può chiamare), una vera e propria celebrità, e tutto ciò che lo caratterizzava in precedenza viene a mancare a tal punto che Skyler, la moglie, ne rimane terrorizzata. La scelta di dividere la final season (la quinta, dunque) in due blocchi da otto episodi distribuiti in due anni, risponde ad ovvie ragioni commerciali: una vocazione al risparmio per il canale AMC unita al tentativo di sfruttare il meccanismo del cliffhanger (ovvero l’interruzione di un episodio o di una stagione nel momento culminante). Peccato che, arrivati a metà della quinta stagione, già si intravedono i primi segnali di stanchezza di una serie altrove densa di significati e assolutamente avvincente. Giunti fin qui, i personaggi paiono non aver più nulla da dire. I continui colpi di scena, le solite battute ad effetto, i bruschi ribaltamenti (in particolare nell’ultimo episodio) eludono una pochezza di idee mai emersa prima. A tutto ciò si aggiunga la sensazione che, tra un episodio e l’altro, la continuità espressiva degli attori viene sempre meno rispettata, creando un effetto suspense mal costruito e davvero inverosimile. Trattandosi, forse, di un momento di raccordo, funzionale a sviluppi futuri ben più interessanti, la speranza è quella di riprendere il filo del discorso fra un anno, alle prese con un finale in grado di smentire le magre premesse.
Breaking Bad [Id., USA 2008] IDEATORE Vince Gilligan.
CAST Bryan Cranston, Anna Gunn, Aaron Paul, Dean Norris.
Thriller, durata 45 minuti (episodio), stagione 5.