Jacques Audiard è uno dei pochi autori in circolazione che ancora vedono nel cinema un veicolo di racconti prima che un megastore di sensazioni. Lo ha confermato, in modo inappellabile, nel suo ultimo film Un sapore di ruggine e ossa, storia di una relazione improbabile e pericolosa fra un inaffidabile picchiatore dal cuore d’oro e una femme fatale costretta alla sedia a rotelle da un mostruoso incidente ittico, che è tutto tranne che una storia strappalacrime sulle barriere imposte dal caso (vedi il caso, a mio avviso sciagurato, di Million Dollar Baby).
La protagonista, Stephanie, perde entrambe le gambe a causa di uno scatto improvviso dell’orca che stava ammaestrando per uno spettacolo. Questa svolta drammatica, oltre a far emergere la sua vulnerabilità, la obbliga a proiettare la sua vita oltre un limite emotivo oltre che fisico rappresentato dalla sua bellezza. Audiard ci lancia indizi subdoli sul simbolismo delle gambe, sia attraverso inquadrature appositamente tagliate, sia con rimandi ipertestuali (Alì, il protagonista che la salva, non era forse anche il nome del pugile che più di tutti dimostrò l’importanza del “gioco di gambe” come arma contro la potenza pura?) che ci preparano al vero centro nevralgico della narrazione. Ciò che vediamo sullo schermo non è l’assenza di una parte del corpo ma il suo prolungamento sovra-sensoriale, allo stesso modo per cui l’immagine filmica diegetica, oltre a rappresentare ciò che viene ripreso dalla macchina da presa, ci introduce a ciò che gli elementi dell’immagine proiettano oltre i limiti del quadro. Parafrasando McLuhan, ogni elemento del film si pone come “medium”, cioè protesi, prolungamento. Le gambe meccaniche con le quali Stephanie riesce a recuperare parte della sua mobilità danno il via ad un processo di fortificazione emotiva e fisica che investe non solo lei ma anche lo stesso Alì durante il combattimento a mani nude. Sam, Il figlio di Alì, è sia prolungamento delle incapacità del padre sia protesi delle braccia della stessa Stephanie, nel momento in cui la aiuta a camminare, divenendo suo bastone. Le gambe come prolungamento della sensualità femminile individuata prima in Stephanie e poi in tutte le altre donne della discoteca. Il visibile come prolungamento emotivo e fisico di un’assenza, così come il cinema lo è della realtà. Audiard descrive la parabola fantastica di un corpo che si è fatto medium e che si prolunga oltre la sua fine, proprio come una nota fantasma: udibile anche se non suonata.
Un sapore di ruggine e ossa [De rouille et d’os, Belgio/Francia 2012] REGIA Jacques Audiard.
CAST Marion Cotillard, Matthias Schoenaerts, Armand Verdure, Céline Sallette.
SCENEGGIATURA Jacques Audiard e Thomas Bidegain. FOTOGRAFIA Stéphane Fontaine. MUSICHE Alexandre Desplat.
Drammatico, durata 120 minuti.