La banalità del male
Si potrebbe scomodare Hannah Arendt e l’espressione a cui ricorse nello sforzo di dare una definizione all’orrore dischiuso dal nazismo per riassumere la forza che governa l’opera seconda di Edoardo Gabbriellini.
Una forza maligna scambiata per tribale provincialismo, un “Bob” che aleggia nella comunità di un paesino emiliano ricreato su immagine e somiglianza di Monghidoro (azzardiamo anche di Twin Peaks), ma che potrebbe depositarsi ovunque, pronta a innescarsi e a colpire chiunque, anche un piastrellista forestiero capitato lì per caso. Arrotondando per difetto di elementi l’autore – riconosciuto all’anagrafe cinematografica come il Piero di Ovosodo – preferisce servirsi della base essenziale del contesto naturale per raccontare la facilità con cui i germi dell’odio e della vendetta, di fronte al rischio di perdita delle poche certezze solide in possesso (il dominio del territorio, l’amore di un fratello, di una ragazza o quello dei fan) si diffondono intaccando persino gli individui apparentemente più mansueti. E chi più di lui, Gianni Morandi, può issare con il volto pulito e rassicurante di eterno ragazzo la facciata dietro cui si nascondono i pensieri e le azioni più inconfessabili? Personaggio già ambiguo di suo, è chiamato a interpretare se stesso sotto le parziali mentite spoglie di Fausto Mieli, cantante in pensione ritiratosi dalle scene per occuparsi della moglie malata (Valeria Bruni Tedeschi), che prova a riaccendere le luci della ribalta salendo sul palco per un nuovo concerto (una sorta di riabilitazione scenica, giunta realmente con l’ultimo Sanremo). Nelle sue grandi mani è riposta la staffetta del brusco capovolgimento stilistico/comportamentale che segna il passaggio tra la prima e la seconda parte del film, in cui il registro comico si spegne tragicamente insieme alle risate della coppia Germano/Mastandrea. Se l’idea d’origine è buona e l’epilogo pulp riesce a scardinare le perplessità iniziali di giudizio, alla banalità del male fa seguito una banalità di rappresentazione passiva e davvero troppo povera. Gabbriellini azzera la propria presenza di autore e padrone del progetto, pianta tende e cavalletto e aspetta altrove l’affastellarsi degli eventi, lasciando in consegna le chiavi al cast attoriale.
Padroni di casa [id., Italia 2012], REGIA Edoardo Gabbriellini.
CAST Valerio Mastandrea, Elio Germano, Gianni Morandi, Valeria Bruni Tedeschi.
SCENEGGIATURA Valerio Mastandrea, Edoardo Gabbriellini, Francesco Cenni e Michele Pellegrini. FOTOGRAFIA Daria D’Antonio. MUSICHE Cesare Cremonini, Stefano Pilia e Gabriele Roberto.
Commedia drammatica, durata 90 minuti.