INEDITO – ISRAELE 2011
Ancora sull’irrappresentabile
Sul concetto di non-filmabile si sono spese parole su parole: dalle teorie baziniane sulla morte al cinema, alle carrellate abiette di rivettiana memoria (riguardo al Kapò di Gillo Pontecorvo) ancor oggi ritornano frequentemente – in modo più o meno velato – riflussi di morale del travelling.
Di fronte ad eventi tragici, come guerre e genocidi, la tendenza di certa cinefilia è dunque quella di persistere nella volontà di ragionare sul fuoricampo, ovvero di scegliere ideologicamente di non mostrare quanto ritenuto inguardabile. Da questa base teorica pare partire il soggetto di War Matador, un film che si propone di registrare, senza alcun filtro, senza alcuno script, senza alcuna idea pregressa, i cittadini israeliani che vivono nei dintorni di Gaza durante l’Operazione Piombo Fuso. E’ evidente che la scelta di soffermarsi sugli osservatori della guerra non riguardi solamente un assunto filosofico di base, ma sia determinata anche da problemi di contingenza, vista la condizione omertosa e pressoché meteoritica dei soldati. Purtuttavia è innegabile che l’humus culturale e il curriculum degli autori (Avner Faingulernt e Macabit Abramson entrambi docenti di cinema alla Film and Tv School Sapir College e al Sapir Academic College) non siano alieni dalle riflessioni che abbiamo esposto poc’anzi. Detto ciò, quello che colpisce non è tanto la scelta di lavorare nelle retrovie, ai margini della scena, di soffermarsi sugli spettatori di uno spettacolo relegato fuoricampo, non sono i rigurgiti metacinematografici a risultare interessanti, ma è proprio l’idea del non-filmabile che si ritorce contro se stessa, in una situazione paradossale di indubbia efficacia retorica. In altri termini: ascoltare persone che sostengono l’assoluta necessità di annientare l’avversario palestinese, vedere gente convinta che non ci sia alcun crimine nell’uccidere anche i bambini se appartenenti alla fazione opposta, osservare le danze festose di rabbini e laici una volta lanciate le bombe al fosforo bianco, non è altrettanto inguardabile, abietto, ripugnante, che vedere direttamente morire la gente in guerra? Per questo riteniamo che la forza di un’operazione come War Matador stia proprio nella piena comprensione dell’ambiguità dell’irrappresentabile, un’ambiguità che, tutto sommato, continua imperterrita ad emergere, sovrastando ogni tentativo di elusione nella poesia (ci riferiamo alla particolare suddivisione in capitoli della vicenda) e di allusione alle forme ancestrali di spettacolarizzazione della morte.
War Matador [Matador Ha’Mil’Hama, Israele 2011] di Avner Faingulert e Macabit Abramson.
Con Yoav Peled, Jane Simone, Shmerling, Shalom Shadidi.
Sceneggiatura di Macabit Abramson, fotografia di Avner Faingulert.
Documentario, durata 75 minuti.