Antropologia di un teledipendente
Se ci riferiamo alla sua etimologia, lo “spettacolo della realtà” non inventa nulla che non sia già stato espresso dall’Arte, che senza negare il reale come referente, lo rimpiazza con un suo simulacro. Nessun linguaggio precedente però si era spinto con la stessa premeditazione perversa e l’uso di una grammatica volutamente degradante e deprimente, a rivelarne, secondo l’assunto matrixiano, la natura di messa in scena.
Garrone esplicita fin troppo, visti i momentanei eccessi di surrealtà, il paradosso sul quale la mitologia televisiva fonda le proprie ambizioni: convincere che la vita vera non sia quella illusoria al di fuori, ma dentro la casa, il tubo catodico. L’esito di questa schizofrenia è un cubo alla Rubik che non si può più ricondurre alla matrice originaria, dove ogni strato, il reale e i suoi surrogati, sono ben distinti. Luciano Ciotola, votato a questa eresia, ne viene tradito doppiamente, poiché non perde solo la sua consistenza di essere umano, ma non guadagna nemmeno lo statuto di personaggio. Emerge qui tutta l’attenzione per la psicopatologia di un inetto che non sa farsi attore, ma scimmiotta le movenze dell’animale televisivo senza comprendere la sua ferocia, l’intenzione di colui che consapevolmente sa farsi strumento della tv, per poi potersi servire della sua aurea di sacralità. Luciano invece, che alla fine risulta infinitamente più stupido del concorrente gieffino medio, le si affida come un bambino, chiedendole fiducioso un’investitura a divo e venendone in cambio divorato. Reality è in fondo una storia di fagocitazioni. Da una parte quella del corpo umano, marcato a vista dalla cinepresa secondo movenze tipicamente televisive, decontestualizzato dal suo ambiente d’origine, sfocato e sbiadito, e fintamente eternato dalle luci della ribalta. Dall’altra quella della tv nei confronti del cinema, al quale sottrae lo spazio vitale, contaminandone il lessico e la sintassi, colonizzando fisicamente una Cinecittà in stato di decomposizione.
Reality [id., Italia/Francia 2012] di Matteo Garrone.
Con Aniello Arena, Nando Paone, Loredana Simioli, Nunzia Schiano.
Sceneggiatura di Maurizio Braucci, Ugo Chiti e Matteo Garrone, fotografia di Marco Onorato, musiche di Alexandre Desplat.
Commedia Drammatica, durata 115 minuti.