Katy and the Chocolate Factory
“Come with me and you’ll be in a world of pure imagination…” A cantare non è la popstar Katy Perry, ma Willy Wonka/Gene Wilder, mentre introduce i suoi ospiti all’interno della Fabbrica di Cioccolato. La sensazione di meraviglia mista a nausea che si potrebbe provare davanti a cascate di cacao, prati di zucchero e alberi di caramelle è simile a quella suscitata da Katy Perry: Part of Me.
Al secolo Kathryn Hudson, classe 1984, la popstar è quella che, solo quattro anni fa, riempiva ogni pertugio di filodiffusione con I Kissed a Girl, quella che nel 2011, mentre calpestava il mondo come un tavolo di Risiko con un mastodontico tour globale, ha infilato un record che prima di lei solo il grande Jacko, ovvero 5 singoli da uno stesso album direttamente al numero 1. A questo 2011 eccezionale, il film-concerto-documentario si aggancia per tracciare un ritratto della star. Attraverso il mestiere di due registi “esordienti” che da anni maneggiano la materia reality su Mtv, il doc si muove su tre livelli: il palco, il backstage, le interviste. Tre al prezzo di uno (ma senza 3D: a differenza del resto del mondo, in Italia la distribuzione ha negato la stereoscopia), lo spettatore si becca sia il concerto, sia il dietro le quinte, sia la ricostruzione biografica dell’ascesa della star. E’ nata una stella, dicono tutti, e solo a colpi di determinazione e forza d’animo. Katy Perry risplende come una delle tante incarnazioni del Sogno Americano, una che ce l’ha fatta da sé perché non si dà mai per vinta, perché è iper professionale, perché crede nella sua “visione” (che poi la visione in questione sia un universo parallelo adagiato su nuvole di zucchero filato e popolato da orsacchiotti gommosi semoventi, è un altro discorso). Il film è sicuramente un prodotto per fan, e di fan straborda: ce ne sono dappertutto, estasiati e adoranti, vestiti e imparruccati come la diva confetto, e sono per la maggior parte bambini o ragazzini, ai quali Katy ripete la stessa ricetta di Lady Gaga e di Walt Disney. “Credete in voi stessi, no matter what”. La pellicola fila via, sulle solide gambe del doc musicale, e ogni tanto si intravede quello scarto incolmabile tra vita e spettacolo, un accenno di melodramma sepolto, quando il matrimonio con Russell Brand capitombola sotto il peso del successo e Katy ingoia lacrime amare sotto i lustrini e la panna montata. L’affetto del pubblico e quello dei collaboratori appare disinteressato e genuino, anche se fotografato come con un filtro Instagram. Ecco, questo bisogna dirlo: Katy Perry, in tutta la sua stramberia colorata, sembra più “normale” di tante altre rock star. Ma, sui titoli di coda, la sensazione è quella, un po’ posticcia, di un mondo “of pure imagination”.
Katy Perry: Part of Me [Katy Perry: Part of Me, Usa 2012] di Dan Cutforth, Jane Lipsitz. Documentario