Provare a comprendere il Creatore
Per molti critici è difficile dare un giudizio definitivo su Ridley Scott. Si tratta del grande regista visionario di Blade Runner o del mestierante hollywoodiano di Soldato Jane? Tutte le contraddizioni che distinguono la sua vivace e altalenante carriera sono concentrate in Prometheus, dove altissimi momenti di cinema convivono con altrettante banalità.
L’incipit è solenne. Attraverso delle magnifiche sequenze in 3D, sorvoliamo le cascate di un pianeta sconosciuto dove un umanoide ingerisce un misterioso liquido nero che lo uccide in pochi secondi. La macchina da presa segue la deflagrazione del suo corpo fino a quando si sbriciola in frammenti di DNA che fluttuano nelle acque. Con un abile gioco di citazioni al 2001 kubrickiano e agli universi di Alien e Blade Runner, Scott allestisce una nuova astronave per trasportare i temi dei suoi due film più importanti in un altro viaggio di pura fantascienza, come quello “oltre l’infinito” della Discovery One, il ritorno verso la Terra di V’Ger − che nel primo Star Trek voleva conoscere il proprio Creatore − e lo Stargate di Roland Emmerich, con cui ha molte cose in comune. Salendo sul Prometheus ci accorgiamo che è una grande astronave. È un modello “voyager”, diverso dalla Nostromo, senza le armi da guerra dell’Enterprise, ma ben attrezzato (e curato nei minimi particolari, dalla tecnologia di bordo alle tute spaziali dell’equipaggio). A risvegliare (senza problemi) i passeggeri ibernati ci pensa l’androide David (Michael Fassbender): l’evoluzione di Hal 9000 e Roy Batty in un unico modello “più umano dell’umano”, reso infallibile, immortale e felice di essere robot. Come il corpo invecchiato di Guy Pearce, il suo sembra un omaggio al Dave Bowman di 2001. Non trapela nessun dubbio esistenziale neanche dall’intenso sguardo (chissà se bionico) di Meredith (Charlize Theron) che lo affianca alla guida della missione. Molto più umano, invece, il temperamento di Noomi Rapace (difficile per lei il confronto con la Weaver), che vorrebbe comprendere le ragioni dei Creatori almeno quanto noi vorremo comprendere alcune scelte degli sceneggiatori Damon Lindelof e Jon Spaihts. Ci sarebbero infatti tutti gli elementi − e i personaggi chiave che ruotano attorno al mondo scottiano − per realizzare un ottimo film. Peccato che la solennità iniziale duri meno di 40 minuti, che le musiche di Marc Streitenfeld siano l’eco cosmico di quelle suonate da Vangelis e la sceneggiatura si sgretoli come il corpo alieno di fronte alle azioni e ai dialoghi di un equipaggio umano male assortito che ricorda i trivellatori sull’Independence di Armageddon più che un vero team di astronauti. Poteva avere senso sulla Nostromo, una nave cargo per il trasporto di materiale minerario, ma sul Prometheus si poteva pensare ad una squadra più qualificata per presentare l’intelletto umano al cospetto dei Creatori. In conclusione, l’illusione di aver (ri)trovato anche noi il “Creatore” è brevissima. Forse potremmo rispondere alla domanda iniziale pensando che nelle galassie produttive hollywoodiane ci sono delle eccezionali congiunzioni astrali che creano stelle di rara bellezza come Blade Runner e buchi neri dove saltuariamente finiscono film, registi e produttori per seguire le leggi che regolano quel sistema (ed è il caso di Soldato Jane). Scott, a settantacinque anni, prova a mettere su qualcosa di importante, ma questa volta, come spesso accade nel Creato, l’opera risulta imperfetta.
Prometheus [id., Usa/Regno Unito 2012] REGIA Ridley Scott.
CAST Noomi Rapace, Michael Fassbender, Charlize Theron, Idris Elba, Guy Pearce, Logan Marshall-Green.
SCENEGGIATURA Jon Spaihts, Damon Lindelof. FOTOGRAFIA Dariusz Wolski. MUSICHE Marc Streitenfeld.
Fantascienza, durata 124 minuti.