Lo Spazio e l’origine dell’umanità
Da sempre l’uomo, affascinato dalla straordinaria unicità che caratterizza il nostro pianeta e l’intero genere umano, ha cercato di comprendere chi o cosa fosse l’artefice di tutto ciò. Un quesito ancora in attesa di risposta e che ha più volte ispirato la Settima Arte. E che continua a farlo: l’ultima fatica di Ridley Scott infatti è un tentativo di suggerire una possibile spiegazione sull’origine dell’umanità.
Prometheus, tuttavia, appare come un film che potenzialmente avrebbe potuto essere un vero e proprio capolavoro ma che invece non riesce purtroppo a conquistarne il merito. La causa di questo volo pindarico interrotto a metà non è da imputare alla sapiente regia di Scott bensì alla sceneggiatura che risulta fiacca, a tratti persino quasi singhiozzante. Specialmente nella seconda parte dove assistiamo non solo all’esponenziale moltiplicazione degli efferati omicidi perpetrati dagli alieni ma soprattutto ad un’escalation del livello di violenza e suspance che oltre ad atterrire la platea ottiene pure il non voluto effetto di farla fortemente dubitare sull’effettiva coerenza delle suddette scene rispetto al filo logico del plot. Lo spettatore, complice forse anche il trailer che sottolinea prevalentemente l’aspetto avventuroso della missione nello spazio siderale ma che tralascia quello noir della vicenda (inducendo quindi erroneamente a credere che si tratti di fantascienza), può rimanere perplesso di fronte alla profonda dicotomia di cui sono intrise le due parti del film e che in alcune scene sembrano quasi appartenere a opere del tutto diverse. Insomma, forse uno dei tanti esempi di occasioni cinematografiche sprecate: conclusione alla quale si arriva non senza essere combattuti perché sia l’accattivante idea di imputare la genesi umana ad un’entità extraterreste (che comunque si era già intravista sia in uno dei capitoli di Indiana Jones che nel 2001 di Kubrick) che lo spessore di un personaggio carismatico e sfaccettato come Elizabeth Shaw, che racchiude in sé la volontà di venire a capo dei misteri scientifici pur senza voler rinunciare alla propria fede, meritavano una chance migliore. Così pur non essendo sprovvisto di suggestivi momenti di poesia, come quando il robot David gioca a basket in sella a una bici mentre ascolta musica classica e guarda un film (esempi dell’alta maestria di cui l’uomo è capace), ci fa nostalgicamente rimpiangere opere come Blade Runner o Il gladiatore, in cui il genio del regista era riuscito ad esprimersi più felicemente.