Cineteca di Bologna, 8 settembre 2012
“Il cinema è il medium giusto”
Questa affermazione di Rutger Hauer, ospite alla Cineteca di Bologna per un “wild meeting” con il pubblico, coglie l’essenza dell’evento a sorpresa di sabato 8 settembre. In un’ora di conversazione, l’interprete di Fiore di carne, Blade Runner, The Hitcher – La lunga strada della paura e dei più recenti Il villaggio di cartone e I colori della passione si è donato con generosa sincerità a studenti, fan, cinefili e curiosi, rispondendo a domande inerenti alla sua vita, alla sua carriera e, più in generale, al cinema.
Alternando epici quanto esilaranti episodi su alcuni tra i set più significativi della sua carriera (in primis quelli di Ridley Scott, Sam Peckinpah e Ermanno Olmi), Hauer ha riflettuto sulla differenza tra cinema e teatro, presto abbandonato perché “non ho capacità di concentrazione”: “Il teatro è essenzialmente un momento unico di due ore, nel cinema la concentrazione è brevissima, è come un puzzle, tutto è giocato su momenti di massimo tre minuti. Nel teatro devi esternare, ingigantire le tue emozioni, aprirti al pubblico, mentre nel cinema ti ripieghi su te stesso”, proprio per la presenza dello schermo a fare da filtro; “nel cinema è importante l’atmosfera, non il testo. Come in poesia: ciò che trasmette è oltre la parola”. Ma il trucco non sta nel “metodo”, quello “va bene fino a un certo punto, poi diventa una stupidaggine”. L’importante è essere creativi, “liberarsi del proprio ego e lasciar spazio alla creatività, fidandosi quindi delle proprie intuizioni”. Già fondatore nel 2006 a Rotterdam di una Filmfactory mirante alla formazione di giovani tecnici e filmmakers da tutto il mondo, l’attore e regista nel 2008 ha scelto Milano per il suo I’ve seen films, un festival internazionale per autori emergenti di cortometraggi, trovando nella città lombarda il sostegno economico e organizzativo necessario a realizzare il suo progetto. In pochi anni la manifestazione ha raggiunto notevole rilevanza: “l’ultima edizione si è composta di più di 100 film selezionati tra gli oltre 4.000 ricevuti”, segno questo di un proliferare sempre maggiore del cinema come medium e strumento efficace per osservare la contemporaneità. “I registi vivono un’epoca di cambiamento radicale. Ora il digitale dà una libertà molto maggiore rispetto a quella di trent’anni fa. Possiamo fare film come vogliamo perché il denaro ha un peso inferiore nella produzione. Con internet è cambiato il modo di distribuire e vedere un film, basta un clic. La sala cinematografica ha ancora un futuro, ma lì sono le società di produzione che decidono cosa farti vedere e cosa no. Con la rete siamo noi a farlo. Il pubblico è furbo e presto, con la banda larga, si potrà vedere anche un bel film in alta definizione”. Alla visione meno utopica e più realistica di chi gli fa notare che il web, se da una parte facilita la circolazione di idee, dall’altra rischia di disperderle nel infinito numero di dati che contiene e conterrà, replica: “il rischio c’è, però almeno adesso ci puoi provare. Non è facile riuscirci, non lo è mai stato, e comunque il pubblico va meritato: ci sono milioni di persone da conquistare. Ci vuole tempo, ma se hai carattere, identità e occhio, la qualità salta sempre fuori”. Ed è con grande semplicità e ottimismo che, rivolgendosi a chi gli chiede un consiglio per un filmmaker emergente, risponde: “Don’t wait, just do it!”.