Quando il trash si prende sul serio
La fortuna critica riservata, negli ultimi due decenni, a tutte quelle produzioni riguardanti il cinema più prettamente trash o, comunque, relativo all’ambito del B-Movie, ha (o ha avuto) i caratteri della protesta. In questo campo, infatti, ci si ribella all’egemonia culturale del film d’essai, visto come simulacro del potere, perorando la causa di una visione godereccia e autoironica che ha come unico diktat il rifiuto di prendersi sul serio.
Premettendo che chi scrive trova questa prospettiva un tantino inflazionata (questione di spirito del tempo) è pur vero che, qualsiasi sia lo scopo, se un film riesce in ciò che si prefigge di essere, è già qualcosa. La trama sconnessa e piena di buchi di questo Shark 3D sembrerebbe avere le carte in regola per appartenere a tutti gli effetti alle categorie sopraccitate. Ci troviamo sulla costa australiana: in un supermercato si sta svolgendo una rapina mentre nel parcheggio sottostante una tresca amorosa e l’inizio di un dramma famigliare. All’improvviso sopraggiunge uno tsunami che inonda e distrugge tutto. Alcuni superstiti emergono e si scoprono bloccati all’interno dell’edificio allagato. Ad un tratto, come se il disagio non fosse sufficiente, si accorgono della presenza di uno squalo bianco lungo quattro metri. Incredibilmente anche nel parcheggio sottostante la situazione è la medesima: i superstiti imprigionati e un altro (!!!) squalo minaccioso ad attendere il pasto. Lo sfruttamento (leggi “exploitation”) di un marchio che è oramai una garanzia, l’uso spasmodico e attrazionale del 3D, la svolta trash di un catastrofico concentrazionario unita ad elementi splatter, avrebbero potuto, se ben calibrati, appartenere a quelle divertenti produzioni in stile Troma.
Il problema è che gli autori di Shark 3D, paiono i primi a non crederci. I dialoghi tutt’altro che divertenti, l’uso davvero molto misurato del gore unito alla volontà di dire, a tutti i costi, qualcosa di intelligente (ovvero lo tsunami come simbolo di azzeramento narrativo e culturale) non lasciano alcuna speranza riguardo alla buona riuscita di un film che pare irrimediabilmente prendersi sul serio. Se dunque l’ultima opera di Kimble Rendall (famoso per essere l’autore del videoclip di Video Killed the Radio Star) avrebbe potuto avere gli elementi necessari per un dignitosissimo B-Movie, il tono moderato, la titubanza di fronte alle scene madri, l’inconsapevolezza delle proprie potenzialità rendono Shark 3D un ibrido confuso e disorganico, un noioso miscuglio di serio e faceto, un prodotto assolutamente prescindibile.