Speciale 69° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia
VENEZIA 69 – CONCORSO
Lo scherzo del cinema
La chiave di lettura di Passion, ovviamente metacinematografica, trattandosi di De Palma, sta tutta nella scena in cui Christine – personaggio doppio, bionda da vertigine, capello raccolto alla Kim Novak – esclama “It’s just a joke!”, dopo aver umiliato pubblicamente Isabelle, mostrando agli altri dirigenti le riprese delle telecamere a circuito chiuso che testimoniano la crisi di nervi della bruna.
Isabelle ride insieme a Christine e dovrebbe divertirsi anche lo spettatore di Passion, quando comprende che il film, come il cinema tutto, per De Palma è solo uno scherzo utile a far riflettere, con ironia brechtiana, per straniamento, sulla vera natura delle cose, attraverso lo svelamento del dispositivo. Infatti Passion, pur mascherato da thriller, è l’ennesimo teorema depalmiano sulla dialettica tra la realtà e le immagini ingannevoli del cinema. Lo dimostra perfettamente la sequenza in cui De Palma va a ripescare uno dei suoi stilemi caratterizzanti, lo split screen, per far credere allo spettatore ciò che non è. La parte destra dello schermo nello split screen è occupata da un pianosequenza menzognero dell’omicidio, in soggettiva alla Halloween, dopo una doccia hitchcockiana. Pianosequenza che è espressione di una verità parziale, nel momento in cui viene accostato temporalmente alle immagini del balletto di Debussy, nella parte sinistra. Si crede che le due azioni avvengano contemporaneamente, ma è un’illusione che deriva da ciò che allo spettatore non viene mostrato, dalla densità del fuori campo – di cui spesso da spettatori ci si dimentica, piuttosto che da quello che si vede sullo schermo. Perché le immagini del cinema, e di tutte le forme e le funzioni che esso, come macchina, ha assunto nel tempo, trasformandosi per non morire – qui abbiamo uno spot televisivo, un sex tape, delle riprese da telecamere a circuito chiuso, le immagini trasmesse via webcam, la videocamera del personaggio voyeuristico di Dani che, come in Snake Eyes, risolve il giallo portando in campo ciò che ne rimaneva fuori – vanno osservate con attenzione, senza aderirvi in maniera superficiale e conservando una posizione scettica, distaccata. È questo lo sforzo che De Palma da sempre chiede allo spettatore. Ed è per questo che egli se ne infischia volutamente di ricercare un perfetto realismo nella recitazione e nelle dinamiche narrative, anzi spinge sul pedale del cattivo gusto e dell’inverosimiglianza, sfidando continuamente la sospensione dell’incredulità, servendosi del thriller hitchcockiano semplicemente per arrivare a un pubblico più vasto.
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