69° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia
VENEZIA 69 – PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA
Ho bisogno d’amore, perdio
La fede religiosa come ostacolo nei rapporti tra gli individui, quando diventa fanatismo. È questo il bersaglio su cui la mdp del regista Ulrich Seidl conserva un distacco freddo e necessario, preferendo in molti casi far sì che sia lo spettatore a giudicare autonomamente quello che vede.
Il film è costruito, infatti, su lunghe inquadrature fisse che sembrano delegare quasi completamente alla sensibilità del pubblico l’interpretazione della storia e delle azioni dei personaggi. Così, nel comportamento di Anna Maria, osservata durante le sue pratiche quotidiane di preghiera, evangelizzazione, penitenza, lo spettatore cattolico potrà riconoscersi almeno in parte, nello stesso momento in cui il resto delle persone in sala troverà ridicolo o assurdo l’agire della protagonista – si pensi agli inni di lode a Dio suonati e cantati dalla donna e al circondarsi di statuette ed immagini religiose. Non c’è, dunque, mancanza di rispetto da parte di Seidl nei confronti di Anna Maria, e il toccante finale lo conferma. C’è solo la volontà di analizzare, quasi da entomologo, le contraddizioni morali a cui possono andare incontro, giocoforza, quei fedeli che prendono alla lettera le Sacre Scritture e vivono la religione come elemento totalizzante, senza lasciare spazio nemmeno alla vita sessuale.
Il personaggio di Nabil, il marito di Anna Maria, ne è una prova evidente: musulmano non condizionato eccessivamente dal proprio credo, vive la fede con maggiore serenità, conservando al tempo stesso un sano appetito sessuale. L’uomo scombina i piani della moglie e trasforma la seconda parte del film in un vero gioco al massacro, claustrofobico e crudele: i coniugi sono impegnati in una serie di reciproche violenze psicologiche e fisiche che mettono in crisi le certezze di Anna Maria, apparentemente passata indenne dall’aver assistito a un’orgia in un parco e dal confronto, spesso duro e difficile, con le persone che la donna cerca di convertire alle proprie abitudini religiose.
In concorso alla 69° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Paradies: Glaube è un’opera complessa ed intensa che non può lasciare indifferenti, costruita com’è su grandi prove attoriali, su un lucidità di sguardo e su un rigore quasi dreyeriani, che fanno del film un narrazione realistica e un racconto esemplare allo stesso tempo.