Speciale 69° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia
VENEZIA 69 – CONCORSO
La celebrazione del medioman
Nel 2009 Erik Gandini presentava fuori concorso a Venezia Videocracy, documentario nato con l’intento di sferrare un attacco al trentennio di oppio televisivo berlusconiano, ma rivelatosi un’occasione mancata, nonché un’involontaria apologia dei suoi gretti protagonisti.
Migliori risultati invece si sono ottenuti quest’anno dal gemellaggio franco-italiano, che ha visto sfilare sull’ultima croisette di Cannes il grottesco Reality di Matteo Garrone, e sul red carpet del Lido Superstar di Xavier Giannoli: due facce di una stessa medaglia, capovolta dal lato della fama ricercata e da quello del successo ottenuto per caso. Ciò che si pensava fosse un problema tipicamente nostrano, in verità si scopre lentamente essere percepito con angoscia da molti autori contemporanei provenienti da realtà diverse (si pensi al Woody Allen di To Rome with love), che individuano nella mercificazione dell’immagine il metodo più pericoloso per addomesticare e plasmare le menti del popolo suddito di mouse e telecomandi, al fine di garantirne il controllo tramite l’appiattimento culturale. Gli effetti de “la società dello spettacolo”, definita già così nel profetico saggio di Guy Debord, stravolgono l’esistenza della vittima di questo psicodramma collettivo in gara per il Leone d’Oro, ricordandoci quanto avvenne con il caso Scazzi a Michele Misseri, o ad altri comuni mortali che per fatti di cronaca si sono visti improvvisamente catapultati sul banco delle celebrità. Dapprima eroe acclamato dalle folle, poi mostro gettato nel tritacarne giornalistico, Martin Kazinski seguirà il processo inverso rispetto al contadino di Avetrana, malgrado sulla sua testa non graviti alcun alone misterioso, nemmeno quello dell’omicidio. Egli però è un uomo altrettanto mediocre, banale, privo di talenti: manna perfetta per alimentare il circolo mediatico della falsa autenticità, che nell’identificazione delle masse trova il motore propulsore. La domanda ossessiva attorno cui ruota il film è “Pourquoi?”, ed è presto detto, perché la rete ha reso l’esibizionismo divistico un fenomeno globale, praticabile con estrema facilità ormai da chiunque. Perché chiunque aspiri a farne parte o manifesti interesse per chi è riuscito ad accedervi restano quesiti ancora aperti, che neanche il più orwelliano dei piani governativi può giustificare.