INEDITO – USA 2011
Indie e glamour
Che cosa si intende per Indie Movie? Una condizione produttiva, oppure semplicemente un genere a cui fanno capo determinazioni stilistiche, caratteristiche formali, connotati tematici? Con questo Bellflower, le nostre ossessioni classificatorie trovano piena soddisfazione.
Il film in questione, infatti, presenta caratteristiche esemplari: prodotto, diretto ed interpretato dalla medesima persona (Evan Glodell, alla sua prima opera di finzione), realizzato con un budget ridottissimo, presentato al Sundance e rispondente di uno stile perfettamente coincidente con la categoria a cui appartiene (messa in scena scarna, intellettualismo di fondo, profonda adesione all’universo dei loser). Woodrow e Aiden, due amici ossessionati dal cinema apocalittico e dalla saga di Mad Max, si spostano dal Wisconsin a Los Angeles, in cerca di una maggior realizzazione esistenziale. Tra il serio e il faceto, costruiscono armi e marchingegni meccanici (la loro auto, ad esempio, è fornita di rubinetto dal quale esce whisky) e si prefiggono di realizzare uno dei più potenti lanciafiamme mai costruiti. Una sera escono a divertirsi e Woodrow conosce Milly: pare l’inizio di una storia d’amore, fatta di pazzie (di punto in bianco vanno in auto fino al Texas per visitare il locale più malfamato mai visto), di gozzoviglie e di tenerezze. Frattanto anche Aiden trova pane per i suoi denti e inizia una, analoga, relazione con Courtney, l’amica di Milly. Tutto procede per il meglio fino a quando, come sempre, qualcosa non si incrina. La nostalgia per il vecchio cinema di genere e per un universo di libertà “on the road” rappresentano, forse, le caratteristiche più interessanti di un film tutto sommato abbastanza ovvio e prevedibile. I due buddies, infatti, trovano una Los Angeles poco differente dalle lande desolate del Midwest da cui provengono e, se la nostalgia non è altro che il risultato sintomatico di una mancanza, pare proprio che il prodotto in questione non lasci alcuna speranza di realizzazione delle proprie fantasie personali e spirituali, se non nel continuo fantasticare all’insegna di una amicizia virile che non è altro che la vera storia d’amore a cui si fa riferimento nella tagline del film (“A Love story with Apocalyptic Stakes”). In una via di mezzo tra Drive e Un gelido inverno, Bellflower è, tuttavia, un film estremamente ruffiano, stereotipato nelle caratteristiche di genere, che sfrutta il glamour della nuova cinefilia (quella più fintamente anti-intellettualistica) e dell’indulgenza verso i reietti della società. Peccato che questi reietti abbiano il taglio alla moda, la maglietta attillata, la barba da hipster montanaro (fate una ricerca su Google per capire di cosa si tratta) e non si capisce da dove trovino i soldi per sostenere una vita tanto dispendiosa. Ad ogni modo, se il film, a conti fatti, riesce perfettamente nell’operazione che si prefigge di essere, ci chiediamo: in tempi come questi, cosa ce ne facciamo di Bellflower?