Chi ha paura delle parole?
Nel nono arrondissement di Parigi, in una casa spiccatamente borghese, sta per andare in scena una cena tra vecchi amici che ben presto si trasformerà in una guerra verbale che farà piazza pulita delle apparenze e delle velleità dei commensali. Il pony express delle pizze che, sbagliando indirizzo, si imbatte nei padroni di quella casa, introducendoceli per la prima volta nella storia, non verrà mai a sapere di questo casino: egli non è un personaggio, ma uno dei tanti artifici narrativi del film francese Cena tra amici.
Chi volesse paragonare l’esordio alla regia di Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte (autore anche della sceneggiatura e del soggetto) al quasi coevo Carnage di Roman Polanski probabilmente ripeterebbe lo stesso errore fatto da chi paragonava The Artist ai film muti degli anni ’20. Gli unici due punti di contatto fra i due sono l’ambientazione (l’interno di una casa situata in una grande città) e la costruzione drammatica basata su di un climax dialettico ascendente. Per il resto si tratta di due opere totalmente diverse e se per una volta la distribuzione italiana avesse tradotto letteralmente il titolo (Le prénom ovvero “Il nome”), senza farsi condizionare dal brand delle molte celebri “cene”, probabilmente nessuno si sarebbe mai posto il problema di paragonarli. Cena tra amici nasce e si sviluppa attorno ad un falso problema etimologico relativo, appunto, al nome che Vincent vorrebbe dare a suo figlio: Adolphe. Si tratta di una burla, ma tanto basta a far scattare la scintilla preferita da sceneggiatori e psicanalisti: il rimosso. Ai vertici del triangolo drammatico ci sono il padrone di casa, Pierre, docente alla Sorbonne, icona dell’intellettualismo radical di sinistra, Claude, trombonista affermato dall’animo mite e lo stesso Vincent, agente immobiliare affabile e gigionesco politicamente attratto dalla destra europea. Il gioco semiotico fra il significato del nome e il significante socio-culturale che lo veicola si traduce in una guerra di estrazione, con l’intellettualismo militante di Pierre che si scontra pesantemente con la stupidità attiva di Vincent, rimproverandogli di non aver mai avuto bisogno di dimostrare nulla grazie al suo fare istrionico e romanzesco. La diatriba schopenaueriana fra realtà e rappresentazione ingloba pian piano tutti i personaggi finché anche i rimossi di Claude, neutrale come la Svizzera, e delle donne, fino a quel momento tenute a debita distanza dal prepotente fallocentrismo culturale, riemergono con fragore, ridefinendo il finale della storia. Se Carnage rappresenta il vaso di Pandora bunueliano delle ambizioni drogate degli anni Duemila, Cena tra amici è la cura omeopatica di un male artificiale che, in tempi come questi, può far solo sorridere.