Premio Internazionale alla Migliore Sceneggiatura Cinematografica, Gorizia, 19-28 luglio 2012
Mai così libero
Lottare per un’ideale, pagarne il prezzo, ritrovarsi incapace di comunicare con i propri “compagni”.
E’ quanto accade a Giulio Manieri (interpretato da Giulio Brogi), anarchico internazionalista condannato a dieci anni di cella di isolamento, dopo un tentativo alquanto maldestro di portare la rivoluzione contadina nell’Italia di fine ‘800.
Tre momenti, in cui si riassume la vita di un uomo assorbito da un ideale a tal punto da essere incapace di accettare la sconfitta o il un radicale mutamento del modo di combattere. Vittorio e Paolo Taviani si ispirano liberamente al romanzo di Tolstoj Il divino e l’umano per estrapolare la figura di un guerriero condannato a restare tale più nella sua mente che nei fatti.
Costretto principalmente in tre spazi (un paese, la sua cella e la laguna veneta) Giulio continua a coltivare il suo sogno rivoluzionario ed al contempo a condurre una vita “normale”, immaginando luoghi e persone, richiamandoli attorno a sé durante gli anni in carcere con un teatrino in cui è attore, regista e spettatore insieme. Brogi riesce a farci dimenticare di essere uno e si divide tra quattro ruoli, tra l’anarchico e i suoi compagni immaginari di avventura. Giulio, tuttavia, non è capace di andare oltre il piano teorico e l’impatto con la realtà è devastante: prima fallisce il suo piano di lotta armata, poi non riesce a reggere l’amara ironia di un gruppo di giovani socialisti, infine vede la sua idea di rivoluzione affondare inesorabilmente tra le acque della Serenissima. E lui, nel suo primo gesto concreto, decide di seguirla. Riproposto durante il 31° Premio Internazionale alla Migliore Sceneggiatura Cinematografica, che si sta svolgendo a Gorizia, il film dei fratelli Taviani ha il raro potere di ampliare lo spazio ristretto in cui il protagonista è rinchiuso ricorrendo a null’altro che al talento di Brogi e di pochissimi comprimari. Non è tanto l’ambiente a contare, in ogni caso, perché per Giulio non fa differenza la cella o la vasta laguna: è prigioniero, come lo è sempre stato, del suo ideale, condannato a fissare dal suo piano teorico la vita vera, che scorre senza di lui, lasciandolo sbigottito e confuso. Un personaggio che, nonostante sia un criminale, provoca pietà intesa come empatia, compassione per i suoi ardenti sentimenti non ricambiati da nessuno. Eppure, pur nella sua tragicità, forse non è lui quello da commiserare, lui che comunque ha accettato di mettersi in gioco completamente, di rischiare e di soffrire per ciò in cui credeva. Perché avere un ideale da difendere non è null’altro che questo.