Premio Internazionale alla Migliore Sceneggiatura Cinematografica, Gorizia, 19-28 luglio 2012
La musica strutturale nel cinema dei Taviani
Il rapporto del cinema con la musica si definisce sotto il segno di una disparità. La settima arte nasce “muta”: il primato tra immagine e suono spetta alla prima, e la relazione tra i due linguaggi vive della possibilità di perpetuare questa assenza originaria.
Nella storia del cinema italiano alcuni autori come Michelangelo Antonioni hanno quindi considerato il suono al servizio dell’immagine, che basterebbe a se stessa, operando una distinzione netta tra la musica in senso lato e la musica per film. Da questa posizione si distacca il cinema dei Taviani, in cui la musica assume uno statuto particolare, oggetto d’analisi nel seminario “La musica nel cinema dei fratelli Taviani” condotto dal professor Roberto Calabretto dell’Università degli Studi di Udine, nell’ambito della XXXI edizione del Premio Sergio Amidei. Per i due registi la musica non ha solo le tradizionali funzioni di “accompagnamento” e di “commento”, ma anche una funzione “drammaturgica”, di cui sottolineano l’affinità con un arte “ritmica” come il cinema e la sua valenza “strutturale”. Il paesaggio acustico che emerge nei loro film è il risultato di trame audiovisive complesse, nate dall’intreccio tra componenti diverse del linguaggio sonoro e da un costante riferimento al repertorio classico. I richiami testuali sono precisi e pescano dalla tradizione operistica – il Tannhäuser di Wagner o il Requiem di Verdi ne La notte di San Lorenzo – come da quella sinfonica – il Concerto per clarinetto e orchestra in La maggiore KV 622 di Mozart o il valzer Il Pipistrello di Strauss in Padre Padrone. La natura del film come dramma in musica affiora in opere come Allonsanfan, in cui il racconto appare strutturato per atti e le sequenze impostate su ingressi puntuali del tema musicale. Altrove, come in Padre Padrone, in cui Mozart dà voce all’emancipazione di Gavino e la musica assume i tratti di un vero e proprio personaggio, emerge la capacità che ha il cinema di giocare con lo spettatore, rompendo la dualità tra livello diegetico ed extradiegetico e instaurando un livello mediato, con la metamorfosi, già consacrata da Federico Fellini, del commento esterno a motivo interno all’inquadratura. L’aspetto però più rilevante resta il tentativo di emanciparsi dall’idea di musica come accompagnamento e dalla rigida associazione tra personaggio e tema, nonché la ricerca di un linguaggio frammentario, che permetta all’elemento musicale di inserirsi in maniera discontinua nel flusso delle immagini, senza compromettere l’organicità del disegno finale. Guido Aristarco affermava come i Taviani potessero essere considerati gli autori delle loro colonne sonore. L’avvicendamento tra compositori diversi – Giovanni Fusco, Vittorio Gelmetti, Ennio Morricone, Nicola Piovani – fa parte in questo senso di scelte consapevoli, legate a una poetica che fa dell’alternanza una cifra autoriale, all’interno di un progetto artistico coerente dove, però, a ogni film vuole essere associato uno stile unico e originale.