Premio Internazionale alla Migliore Sceneggiatura Cinematografica, Gorizia, 19-28 luglio 2012
Rumori dentro scena
Yevgeni Bauer è stato probabilmente il più grande regista russo di epoca zarista. Parole non mie ma di Ugo Casiraghi che lo aveva scoperto a Pordenone nel 1989, scrivendone immediatamente come di un punto di riferimento per tutto il cinema pre-rivoluzionario.
Un cinema e un’epoca “infami”, allo stesso modo con cui erroneamente si identifica nel Medioevo l’epoca buia dell’arte antica, ma che Casiraghi, da critico attento non solo al cinema ma alla cultura in senso lato, aveva cercato di riabilitare alla luce di opere di indiscussa valenza come Testimoni silenziosi (1914). Un film, quest’ultimo, portato a nuova voce sabato 21 luglio al Kinemax di Gorizia, grazie all’associazione Crisalide e all’intervento live del vibrafono e delle altre percussioni del maestro Vitale che ha avuto il merito, non comune in tempi di sonorizzazioni astratte e selvagge, di trasformare in note le barriere di classe che muovono i personaggi. Un’operazione filologica di adesione al testo filmico che si pone agli antipodi di quanto fatto negli anni ’80 da Giorgio Moroder per Metropolis e che risulta tanto efficace quanto poco invasiva. I movimenti dei personaggi, in accordo col loro status socio-caratteriale, diventano piccole danze armoniose, come il portiere dell’albergo bardato di tutto punto, tanto che risulta difficile non identificarlo come prodromo del collega di L’ultima risata di Murnau, il cui incedere assomiglia a quello di un pinguino non consapevole del suo impaccio. Oppure il ricco egocentrico che viene accompagnato da musiche ariose che ne marcano la presenza anche all’interno di scene caotiche, divenendo distorte oltre ogni limite durante il suo struggimento inconsolabile: una malattia d’amore elettrica. Poi arriva la neve e si capisce cosa significhi davvero rimettere in musica un film muto: il maestro Vitale impugna bacchette più piccole e sfiora i tasti acuti del vibrafono creando una sineddoche visiva strabiliante. Il film prosegue diretto dai crescendo drammatici del rullante fino a infrangersi nella disperazione della serva circuita, rimasta sola nell’immensa casa, mentre i padroni se ne vanno in vacanza. La musica si ferma un attimo prima del buio conclusivo, perché per quel dolore non c’è nota migliore del silenzio.
Cinema monarchico con momenti di inaspettata autorialità, come nelle due sequenze delle telefonate, dove i personaggi si dividono lo spazio filmico annullando il campo e controcampo e addirittura mostrando lo strumento che li collega elettricamente: una torre di metallo. Kuleshov aveva ancora da venire, così come Pudovkin, la rivoluzione di ottobre e le avanguardie; Bauer intanto dipingeva affreschi alto borghesi, melodrammi classici quando ancora niente era classico. Un cinema da riscoprire e da riabilitare, come segno di profonda consapevolezza del tempo che ci ha preceduti.