Guantanamo, in alto mare
Nonostante il suo ultimo lavoro per il cinema sia un’opera di finzione, Io sono Li, Premio all’Opera Prima alla 31a edizione del Premio “Sergio Amidei”, Andrea Segre è anzitutto un regista di documentari.
Nel suo caso, tuttavia, persino questa ultima definizione sta stretta: Segre – a partire dall’esordio Lo sterminio dei popoli zingari, 1998 – filma la marginalità di etnie, culture e popolazioni. E le rielabora, mescolando testimonianze e riprese dal vero di eventi condivisi. La sua è un’attività militante e di denuncia, che partendo da una intima volontà di conoscenza desidera accompagnare lo spettatore ad una presa di coscienza altrimenti negata dal resto dell’opinione pubblica. Mare chiuso nasce come ideale controcanto di Come un uomo sulla terra, film d’inchiesta del 2008 in cui il medesimo autore riprendeva l’odissea di giovani etiopi costretti all’emigrazione via terra, attraverso il deserto tra Sudan e Libia. Lì, in quella apparente “no man’s land”, il viaggio si interrompeva a causa dei contrabbandieri e della polizia libica, responsabile di pestaggi e deportazioni. Spostando l’attenzione sulle tratte via mare, il risultato non cambia. Mare chiuso è stato realizzato nel periodo in cui l’Italia venne condannata per i cruenti respingimenti avvenuti in acque internazionali, ed è proprio con le immagini del processo che tutto ha inizio. Alle immagini delle strette di mano tra (ex) premier italiano e (fu) dittatore libico avvenute nel 2009 si alternano le esclusive riprese compiute dagli stessi eritrei durante la loro incerta navigazione, fino al momento in cui vengono fermati e portati nelle carceri libiche. Immediatamente la visione del quadro nel suo insieme palesa un enorme divario tra i “trattati istituzionali di amicizia e cooperazione per contrastare l’immigrazione” e la privazione dei diritti umani attuata per meri interessi politici. La “Guantanamo in alto mare” verrà condannata, e agli apolidi relegati nel campo profughi dell’Onu al confine tunisino l’Italia dovrà fornire un adeguato risarcimento. Economico, ma naturalmente non umano, giacché vite e affetti perduti non possono essere restituiti. Ma il ragionamento di Segre (accompagnato dal giornalista Stefano Liberti) stavolta non si esaurisce qui: non basta l’indignazione verso chi dall’alto decide, occorre altresì domandarsi perché la politica italiana possa eludere la legge a proprio piacimento. La risposta è facile: perché è una posizione che rende elettoralmente (come candidamente ammise uno dei ministri in carica dell’ultimo governo di centrodestra). In fondo, a quei respingimenti e a quegli ingiusti soprusi, abbiamo contribuito anche noi elettori votanti.
Mare chiuso [Italia 2012] REGIA Stefano Liberti, Andrea Segre.
SOGGETTO Stefano Liberti, Andrea Segre. FOTOGRAFIA Matteo Calore, Simone Falso, Andrea Segre. MUSICHE Piccola Bottega Baltazar.
Documentario, durata 60 minuti.
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