We want the revolution, now!
La Ripley’s Home Video, con il costante contributo delle puntuali analisi di Federico Rossin, continua la lodevole campagna nel diffondere a macchia d’olio l’opera di Jean-Luc Godard, immettendo nel mercato un ulteriore prezioso cofanetto, in questo caso tre mediometraggi degli “anni Mao” del cineasta francese, il periodo 1969-1972.
Si tratta di un cinema spregiudicatamente impegnato, il pensiero rivoluzionario messo in immagini ad opera del collettivo riconosciuto come “Gruppo Dziga Vertov”. Il risultato è una parabola attraverso l’Europa che qui raccoglie tre dei sette film realizzati in diversi paesi per portare avanti delle ideologie ben precise. Ecco l’Inghilterra in British Sounds, sei segmenti si danno il cambio in una giostra di idee mostrate senza fretta, lasciando ad ognuna il tempo per ripetersi ed attecchire nella mente di chi osserva. Praga è protagonista di Pravda, dove viene disegnata la situazione della rivoluzione socialista, manifestando attraverso la (ir)realtà comunista la vera condizione della Repubblica Ceca. Lo sguardo poi si lascia rinchiudere dai nostri confini: Lotte in Italia è una lunga riflessione ad opera di Paola Taviani sulla lotta di classe, toccando questioni care al Gruppo, come il lavoro, la sessualità, il passaggio dalla teoria alla pratica.
Tre visioni allacciate, bacini a loro volta di altrettante riflessioni che nascono e si moltiplicano senza sosta, un viaggio con la fedele macchina da presa sempre in spalla per lasciare da parte il cinema d’autore e dedicarsi senza freni alla ricerca estetico-politica.
Oltre il contrasto, oltre la polemica che ne deriva, oltre le condizioni esplicitate, l’idea comune ai tre lavori è la tensione verso la rieducazione. Dagli intellettuali borghesi alla famiglia conscia della propria condizione, la figura simbolo per questo presupposto si materializza nel bambino di British Sounds, anzi appunto nella sua voce off non localizzata nell’immagine, spronata a ripetere date e avvenimenti, l’innocenza educata come chi osserva. Ma cos’è che vede realmente lo spettatore? Sotto i suoi occhi si dipana il punto di vista di un collettivo, quindi dello stesso Godard, compositore di cinema per eccellenza. Ne sgorga una sinfonia carica di immagini che lottano contro i suoni, un montaggio che si fa carico di diventare interprete di realtà complesse, segmenti alternati, un collage di materiali eterogenei che giocano con rimandi, assonanze, dissonanze, colori, ombre e lingue. Il rosso pervasivo e baldanzoso impone la propria presenza, in Lotte in Italia si contano sulle dita di una mano le inquadrature dove viene escluso, si fa inchiostro per scrivere parole, bandiera della sinistra rivoluzionaria, sciarpa al collo di una giovane donna che analizza le proprie contraddizioni tra esigenze borghesi e aspirazioni rivoluzionarie.
Benchè commissionati per la televisione, l’Inghilterra e l’Italia si rifiutarono di mandare in onda i loro corrispettivi episodi. I semi della rivoluzione però sono duri a morire, possono restare sopiti in attesa per anni, risvegliandosi poi dopo decenni senza aver perso freschezza, misurando il proprio cambiamento per evolversi ancora di più, trovando nell’epoca digitale chi ha la voglia e la forza di ridargli prestigio.
Essere espressione della lotta attiva, agendo contemporaneamente sul piano linguistico, portando avanti sempre e comunque un unico messaggio: che la lotta di classe non abbia mai fine.