Imparare a vedere qui per capire altrove
È una riflessione ricca e non facile quella trattata da Jean-Luc Godard in Ici et ailleurs e Comment ça va?, mediometraggi realizzati negli anni ’70 insieme alla compagna, la regista svizzera Anne-Marie Miéville.
Lontani tra loro per il semplice fatto di essere due opere distinte e autonome nella loro esclusività, nel sottotesto si scorge evidente quel fil rouge che le lega indissolubilmente e permette di scavalcare le tematiche che inizialmente danno l’impressione di voler prendere potere sull’immagine. In un primo momento ecco che la politica sembra pervadere qualsiasi sfumatura de Ici et ailleurs, la guerriglia in Palestina documentata sul campo dal Gruppo Dziga Vertov (all’interno del quale Godard realizza le sue opere tra il ’69 e il ’72) conclusasi in un’opera compiuta solo quattro anni dopo. Comment ça va? invece riflette sulla costruzione di un buon giornale di sinistra, seguendo la lotta tra un sindacalista comunista e Odette, giornalista attenta a smontare qualsiasi convinzione pregressa dell’uomo e impartirgli una lezione filosofica su cosa significhi vedere e quindi saper fare informazione.
Due film, una sola riflessione, quella sull’immagine, dalla sua produzione in un “altrove” costruito da figure ormai morte, alla ricezione in un “qui” composto da una famiglia perennemente appiccicata davanti alla televisione che trasmette simboli intercalati uno dopo l’altro senza distinguerne il sapore. Si arriva poi alla comprensione di tale immagine, in un lavoro fatto sulla scomposizione in ogni sua minima parte, andando a definire non solo il valore di questa ma anche e soprattutto il destino della società mediatica. Comment ça va? è un film tra l’attivo e il passivo, composto da personaggi che vivono in scena e al di fuori dell’inquadratura, voci narranti che “vedono” loro stessi agire passivi, dominati da una cecità perenne nella quale anche lo spettatore sembra essere sprofondato. Ecco che la luce si intravede nei biondi capelli di una donna senza volto, capace di prendere il muro delle immagini, il muro del silenzio, e trasformarlo in una lavagna vuota sulla quale è possibile tracciare la tensione tra idee radicali e l’incomprensione che molta gente ha di queste, ragionando attraverso considerazioni educative sulle figure, i suoni e la loro relazione.
Devono rimanere lontani i dubbi su una possibile monotonia dovuta all’argomento trattato, perchè insieme a tutto ciò altre riflessioni collaterali trovano la loro ragion d’essere all’interno delle pellicole, due in particolare che si stagliano sopra di tutti. L’essere-non essere presenti nelle realtà che costruiscono il mondo, condizione esplicitata dalla stessa figura di Godard, uscito da una fase di stasi per rimettersi in gioco ed emergere da quel limbo maledetto reso con grande maestria ne Ici et ailleurs: trovarsi sia qui che lì, vedersi, non vedersi, sentirsi parlare, non sentirsi, distaccandosi per proteggersi ma senza la possibilità di sfuggire dal peso del materiale girato che, pazientemente, attende. Fondamentale poi il ruolo della donna, mano che produce uno scritto, cieca mentre vede attraverso le dita, senza volto, senza connotazione, quanto mai invece presente e fondamentale per scuotere e guidare l’uomo “povero idiota di rivoluzionario, milionario in immagini” nel leggere correttamente con lo sguardo.
Il lavoro fatto non si ferma solo al livello mentale, ma si preoccupa anche di scavare visivamente, grazie alle apparecchiature dello studio Sonimage, fondendo le figure, alternandole per sviscerarle in ogni dettaglio, comparandole con il testo, garante di senso in grado di deformare una fotografia.
La Ripley’s Home Video intelligentemente raccoglie in un cofanetto queste due opere preziose, corredandole di un interessante e precisa analisi storico-critica raccolta nel booklet a cura di Federico Rossin, riparando all’erronea scarsa diffusione del lavoro fatto da una delle più grandi menti capace di ragionare intorno al potere della visione.