Il finto rock
… E se High School Musical si incontrasse/scontrasse con la musica rock? Sembra questo il dubbio “amletico” da cui è partita la lavorazione di Rock of Ages, film tratto dal musical di Broadway incentrato sull’hard rock anni ’80, ma che di rock ha ben poco.
La vicenda è un classico: 1987, una ragazza di periferia (chiaramente bellissima) arriva a Los Angeles per diventare una cantante; conoscerà un ragazzo, avvenente e aspirante cantante anche lui, che la porterà a lavorare al Bourbon Club, locale in cui brulica la scena musicale dell’epoca; i due si innamorano, mentre alle loro spalle il nuovo sindaco e la di lui consorte cercheranno di ripulire le strade della città dal demonio del rock. Già dopo dieci minuti vorresti malmenare i due giovani protagonisti, che rockeggiano come lo farebbero i loro amici del format Disney, tutti gorgheggi e ammiccamenti che di rock hanno solo le basi musicali, tra uno stereotipo e una ricostruzione d’epoca che sa di finto e di impersonale. Degli anni ’80 si intravede ben poco se non alcuni costumi e copertine di vinili, il resto è attualizzato per un pubblico “mordi e fuggi”; non ci sono la tamarragine del tempo, i colori sparati in faccia, il glam: c’è solo una parodia di tutto ciò sotto il rigore del politically correct. I numeri musicali sono alla stregua dei balletti di Glee, e i poveri Def Leppard, Guns N’ Roses e Extreme diventano parolieri per la storia d’amore dei due giovani “ribelli” mediante le loro canzoni che a fatica cercano di descrivere il loro quotidiano, e che, riarrangiate, diventano quasi insopportabili. Un’operazione che ricorda quello che era stato fatto (meglio) in Across the Universe con i pezzi dei Beatles. La regia di Shankman, già colpevole del brutto remake di Hairspray, come detto, non riesce a riproporre l’estetica anni ’80 e punta l’acceleratore su un’ironia che a tratti scade nel patetico involontario (tutte le scene in cui compaiono Baldwin e Brand e la morale di fondo del locale gestito da Mary J.Blige). Chissà cosa ne pensano di questa commediola i veri protagonisti di quell’epoca d’oro del rock americano? Visti gli incassi infelici della pellicola anche in patria la risposta è ovvia, e ripropone una verità che da sempre attanaglia chi traspone un musical dal teatro al cinema, cioè la difficoltà di replicare il successo di pubblico teatrale in sala se non per rare eccezioni, come è successo negli ultimi anni a Mamma Mia!. Unico a salvarsi è il cast dei comprimari over 45, su tutti Tom Cruise in una performance volutamente sopra le righe e che prende in giro, soprattutto nella sequenze dell’intervista per Rolling Stone, il suo ruolo in Magnolia, e Catherine Zeta-Jones simpatica bacchettona/perversa. Invece ancora una volta Russel Brand, in una pellicola che dovrebbe calzargli a pennello, dimostra di essere uno degli attori più sopravvalutati del cinema contemporaneo americano.