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Detachment – Il distacco

lunedì 25 Giugno, 2012 | di Filippo Zoratti
Detachment – Il distacco
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La giusta distanza
A parlare di interrelazioni fra docenti illuminati e studenti problematici tornano inevitabilmente alla memoria le eroiche gesta del professor Keating di L’attimo fuggente e quelle più autobiografiche del maestro François di La classe. A segnare però lo scarto più evidente fra questi due illustri predecessori e l’approccio di Detachment è il vorticoso cambio di prospettiva in cui immedesimarsi.

Il distacco parla dei docenti, non del rapporto che gli alunni instaurano con essi. Lo si capisce dalle prime immagini, in cui veri insegnanti si rivolgono alla cinepresa sfogando le proprie decennali frustrazioni lavorative. Dalle testimonianze reali si passa al volto di Adrien Brody/Henry Barthes, “miglior supplente tra i docenti disoccupati” per un mese alle prese con ragazzi difficili abbandonati a loro stessi, incapaci di credere ad un’istituzione scolastica che s’è da tempo arresa. Il volto di Brody (alla miglior interpretazione della carriera, dopo Il pianista) incarna meravigliosamente la malinconia e il disincanto di un uomo che ricerca disperatamente il (giusto) distacco dal mondo proprio perché se ne sente inevitabilmente parte integrante. Sbaglia però chi lo crede un idealista: a contatto con prostituzione minorile, insensibilità adolescenziale e impulsi suicidi, il nostro professore è un antieroe consapevole dei propri limiti, conscio che il fallimento faccia parte del gioco. Con coraggio e carattere durante le sue lezioni Barthes scansa i propri problemi – la morte della madre, l’invecchiamento del nonno – concentrandosi sul caos che gli sta di fronte. Detachment procede come un carro armato, scoprendo progressivamente le carte di un’invettiva intrisa di pessimismo rispetto alla società americana e al suo fallimentare sistema educativo. Ma considerando che dietro alla macchina da presa c’è Tony Kaye (American History X) sarebbe stato improbabile aspettarsi altro: la sua è una regia rabbiosa e feroce, disposta ad aggrapparsi a qualunque mezzo pur di raggiungere il proprio fine. Veniamo investiti e sopraffatti da inquadrature oblique, prospettive allungate, riprese simil-amatoriali e fotografia cupa e sgranata. Nonostante lo stordimento visivo non ci sfugge la deriva finale del film, che tocca esasperazioni al limite del melò cedendo alla retorica. Ma d’altronde ciò che ci chiede un’opera come Detachment è proprio questo: di essere amata nonostante le proprie imperfezioni. Anzi, è proprio in virtù della sua “foga intellettuale” che lo spettatore uscirà dalla sala turbato e scosso, cosciente del fatto che spesso il concetto di Destino è legato indissolubilmente a quello di Dolore. “Tutti noi abbiamo troppe cose di cui occuparci, e spesso ci lasciamo vivere, perdendo l’obiettivo”: bisogna arrendersi o lottare?

Detachment – Il distacco [Detachment, USA 2011] REGIA Tony Kaye.
CAST Adrien Brody, Sami Gayle, James Caan, Christina Hendricks, Lucy Liu.
SCENEGGIATURA Carl Lund. FOTOGRAFIA Tony Kaye. MUSICHE The Newton Brothers.
Drammatico, durata 97 minuti.

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