Sabato 23 giugno, Rai Tre, ore 07.50
Risorgimento western
Il brigante di Tacca del Lupo (1952) è il sesto film del genovese Pietro Germi, nonché uno dei suoi meno conosciuti. Come i precedenti In nome della legge (1948) e Il cammino della speranza (1950) racconta di una vicenda tipicamente meridionale per storia, atmosfera, contesto sociale e ambientazione; così come, in misura anzi molto maggiore, ne Il cammino della speranza, è raccontato anche il contrasto e l’incontro tra nord e sud; se lì il rapporto tra le due Italie si mostrava nel viaggio compiuto dai minatori siciliani emigranti man mano che salivano lo stivale, qui l’azione è spostata nei duri anni immediatamente successivi all’unità, durante quella che è stata una vera guerra civile tra esercito nazionale e briganti meridionali.
In Basilicata i briganti al comando di Raffa Raffa, fedele ai Borboni, saccheggiano una cittadina: per risolvere il problema viene mandato il capitano Giordani, rigoroso e intransigente ufficiale sabaudo. Giordani, ignorando molte delle condizioni economiche, culturali e di mentalità di quei luoghi, decide di attuare il pugno di ferro, al contrario del commissario di polizia di origini pugliesi Francesco Siceli, propenso a risolvere la situazione con pazienza, un po’ di cinismo e qualche compromesso: alla fine a risultare vincente, schematizzando molto l’evolversi delle cose, sarà l’unione delle due politiche. Il severo capitano impara a rendere meno intransigenti i suoi comportamenti, e tra bersaglieri del nord e popolazione indigena inizia a crearsi una maggiore intesa e vicinanza, attraverso soprattutto lo “scambio” di canti e balli tipici. Il brigante di Tacca di Lupo è innanzitutto un film storico, che affronta un periodo, la guerra civile tra briganti ed esercito regolare, su cui di solito si è preferito e si preferisce glissare o usare, male, per scopi di campanilismo. Germi lo fa cercando di non far pendere troppo la bilancia del giudizio da nessuna delle due parti, riconoscendo ragioni e torti sia all’operato nazionale che alle rivendicazioni alla base del fenomeno del brigantaggio, senza però rinunciare a puntare il dito dove è necessario (per esempio, durante i titoli di testa le note di un noto canto popolare piemontese risuonano sopra le immagini di case distrutte e di rovine). Questo è fatto in un’ottica di cinema dichiaratamente popolare, con connesse schematizzazioni e retoriche del caso, che prende in prestito convenzioni stilistiche, narrative e visive soprattutto dal western: proprio come in In nome della legge e, in misura minore, in Il cammino della speranza, due film che hanno contribuito ad immettere nel substrato neorealista forti influenze del cinema di genere. Non solo i brulli paesaggi lucani ricordano quelli della frontiera, ma in generale l’atmosfera e il modo di raccontare la caccia a Raffa-Raffa e i suoi seguaci rimandano ai canoni del genere americano per eccellenza. Germi con questo film meno conosciuto di quanto meriterebbe, continua così la fusione tra sfondo sociale, uso dei dialetti, “impegno” e moralismo del neorealismo e lo scheletro dei generi cinematografici che rendevano questo sfondo più attraente e stimolante per un più vasto pubblico popolare.