Biografilm Festival, Bologna, 8-18 giugno 2012
Dopo l’ultima sigaretta
In occasione della riproposizione del suo L’ultimo terrestre, l’artista Gipi ha portato al Biografilm Festival un progetto strano e personalissimo: Smettere di fumare fumando, la cronaca dell’impresa, riuscita, dello smettere di fumare più o meno di punto in bianco.
Dieci giorni di calvario, da quaranta sigarette quotidiane a zero: e riprendere tutto, volgere la videocamera a se stessi mentre si rischia di impazzire. Il progetto segue una sola regola: ogni giorno montare e sistemare le riprese, il materiale, i suoni di quel giorno e quello soltanto. Lo stile si adegua dunque al “qui e ora” della ripresa, allo stato d’animo di Gipi, alle ossessioni e ai deliri altalenanti che mutano di giorno in giorno.
Dall’adrenalina folle dell’astinenza ad una calma rassegnazione tutt’altro che rassicurante (“meglio il delirio che la normalità”): una normale, comune forma di privazione che diventa per il protagonista specchio deformante dello spazio, della realtà, dei rapporti interpersonali, sempre a partire da se stesso, soggetto e oggetto della ripresa, narratore e cavia. Poco importa se sia tutto vero oppure no, il risultato è incredibilmente coerente. Gipi approfitta dell’origine così privata del progetto per andare a ruota libera, tra scoppi di rabbia, picchi di depressione e mantra ripetuti all’infinito (“non pensare al mondo del cinema”/”devo pensare alle cose che mi piacciono”), fluttuando in un perfetto senso dell’immagine e affogando tutto in un’ironia feroce. Dai primi giorni di caos, in cui la videocamera segue il delirio e l’incostanza, a momenti di estrema calma, di parziale ritorno alla ragione, di contatto con l’esterno (la madre, la compagna, gli amici): la progressione verso la ricerca di palliativi, cose da fare e luoghi da visitare, finché il trauma dell’auto-privazione va a coincidere con la necessità di fare ancora i conti col trauma reale dell’infanzia, quello già in parte sviscerato in La mia vita disegnata male.
In questo viaggio di dieci giorni intorno a se stesso, Gipi si sfoga sugli oggetti, sulle abitudini discutibili del presente, sulle persone tutte: demistificazione dell’infanzia (l’orsetto Ikea), della ricerca spirituale (“sto cercando me stesso come uno scemo qualsiasi”), della tecnologia che permette di condividere le improponibili conseguenze di una solitudine dilagante. Gipi mette in scena tutto questo, ponendosi come filtro di una realtà condivisibile ma del tutto personale, con sprazzi di cinismo e colpi di genio surreali. Ci si perde nel viaggio allucinato di Gipi e si ride insieme a lui, e soprattutto ci si sente meno soli con i propri mostri.