Si stanno disputando in questi giorni i campionati europei più anonimi e mediocri del dopoguerra. Non si tratta solamente di involuzione del gioco e della mancanza di grandi talenti: è tutto il Continente che, pur affidandosi a nuovi soggetti e nuovi cittadini (un tempo migranti, o comunque ex stranieri di prima e seconda generazione), non riesce più a trovare qualche forma discorsiva al calcio che si propone.
Questi campionati arrivano in uno dei momenti più neri del continente, la cui crisi economica – commentata nei più svariati modi – si riassume grosso modo così: o ci si federa veramente con regole unitarie e cessione di sovranità politica, o si torna indietro, alla lira, alla dracma, alla peseta, etc.
Se però estendiamo al cinema, dopo sport e politica, il discorso, ci accorgiamo di essere appena usciti da un festival di Cannes che, stando ai commentatori, ha mostrato esattamente lo stesso profilo malinconico e sconfortato. Non è un caso che abbia trionfato un film sugli anziani e sulla ineluttabilità della morte, o meglio sul degrado fisico e biologico. Molti di noi devono ancora vedere la pellicola di Haneke, eppure già da lontano pare una perfetta metafora dell’invecchiamento del Continente. Pensiamoci un attimo: i paesi emergenti (Brasile, Russia, Cina, India) propongono società – in alcuni casi a democrazia limitata – dove il dinamismo civile e culturale è formidabile. L’Europa, che tiene a bada le esperienze più distruttive e pratica un modestissimo welfare, si trova alle prese con una società invecchiata e rassegnata, con giovani ad alto tasso di disoccupazione, e per di più legata agli antichi riti degli stati-nazione. Ciò non significa che si debba rinunciare alla democrazia. Però si può rinunciare a larghe fette di identità nazionale.
Anche il cinema europeo, salvo alcune note formule di cofinanziamento, non riesce a esprimere un cinema continentale, e lo afferma il sottoscritto, che pure ha speso centinaia di pagine per raccontare Il cinema europeo nell’omonimo volume scritto insieme a Mariapia Comand.
Il fatto è che il cinema europeo non esiste, non è mai esistito e chissà mai se esisterà. Il Continente, per motivi storici, a sua volta non riesce a sbarazzarsi dell’ossessione della sovranità, su cui ora naturalmente marciano al passo dell’oca i neonazisti europei, mai così potenti. Sarà il caso di fare un salto di qualità, di scrollarsi di dosso i nazionalismi e gli orgogli territoriali, oppure l’Europa morirà, e con lei la moneta, lo sport e il cinema.