L’ombelico del mondo
Una capitale è troppo grande per essere racchiusa in un solo sguardo, troppa storia, troppa cultura, troppa complessità: ecco allora che il progetto dedicato a L’Avana viene spartito tra sette diversi cineasti, pronti a tradurre in immagini il proprio modo di vedere la città.
Sette storie separate ma allo stesso tempo irrimediabilmente unite, tutte parte di una sola settimana. Alcune si rincorrono con dettagli e personaggi condivisi, altre sfumano l’una nell’altra, confondendo la fine della precedente con l’inizio della successiva, tematiche riprese e stereotipi sottolineati senza mezzi termini. Fortunatamente, essendo un’opera collettiva, la maggior qualità di un episodio aiuta a dimenticare la banalità di altri, per un totale armonioso e astuto, con alti picchi di contemplazione dedicata alla protagonista assoluta, ai suoi ritmi, il mare, il ballo, il rhum. Sette tappe fondamentali, ipoteticamente riconducibili agli altrettanti momenti della creazione del mondo secondo la visione cristiana, tra luce, acqua, cielo, poi gli esseri viventi e l’uomo, fino al riposo della domenica, qui dedicata alla festa per la Vergine.
Cuba come ambientazione non è una novità, e un inno in suo onore è già stato composto nel 1998 da Wim Wenders col suo Buena Vista Social Club, un film che lascia spazio alla musica, la città e le persone al suo interno entrambi a lei esclusivamente devoti. Qui essa è un contorno, una piacevole costante ritrovata in ogni capitolo, assuefante, calda e seducente avvolge ogni particolare e gli dona spessore. Fattori persistenti sono anche i colori saturi e le ombre piene che tratteggiano le figure, entrambi insistiti andando a trovare il paragone con l’anima della città, altrettanto profonda e corposa, mai del tutto espugnabile. I portabandiera indiscussi diventano quindi il Ritual di Gaspar Noé, interamente costruito dalla luce del fuoco purificatore e della pallida luna, e la Jam Session di Pablo Trapero, quando Kusturica rimane controluce, l’acqua ai suoi piedi e il cielo viola sopra. Questi i più riusciti, ognuno nella propria categoria: il primo riflette dall’interno sulle credenze dell’isola, negli esorcismi ad opera di un santone verso una ragazza che ama le donne, il secondo accoglie il mondo esterno, incarnato dal cinema internazionale, presentando un regista barcollante che cerca la Cuba proibita, fatta di macchine sgangherate, sudore e musica.
Una chicca a parte Diary of a beginner, il lavoro di Elia Suleiman, se stesso come personaggio muto in attesa di udienza, immobile mentre vede la realtà come fosse una fotografia semimovente, lasciandola parlare al posto suo: ecco trovata l’unica vera soluzione per raccontare sul serio una storia già sentita.