Quando la diva è in vacanza
Nel 1956 Marilyn Monroe, al secolo Norma Jeane Baker, vola in Inghilterra per girare un film con e di Laurence Olivier, assieme al marito drammaturgo, Arthur Miller, e una insegnante di recitazione dell’Actor’s Studio. Obiettivo: dimostrare al mondo che sotto i modi da bambola sexy batte il cuore di una vera attrice.
Sul set incontrerà un giovane aiuto regista, Colin Clark, che la aiuterà a superare il peso del suo nome, amandola in modo incondizionato. Morale della favola: Marilyn reciterà con Olivier ne Il principe e la ballerina, e l’anno successivo accanto alla coppia Lemmon/Curtis nel film A qualcuno piace caldo. Da un mezzo flop al film che la consacrerà definitivamente come diva hollywoodiana.
Simon Curtis, regista di Marilyn, prende spunto dai due fortunati libri scritti dal vero Colin Clark, The prince, the showgirl and me e My week with Marilyn (che è anche il titolo originale del film), per annullare l’effetto di straniamento che si prova nel vedere un’icona tornare a nuova vita sullo schermo. Per fare questo realizza un film di finzione che ammicca molto al bio-pic nel suo continuo citare luoghi, film, attori realmente esistiti e mai così poco romanzati dentro una pellicola hollywoodiana.
Osservando le tipologie di cinema in cui viene proiettato in questa prima settimana, viene da chiedersi come mai un film su Marilyn Monroe (interpretata dalla brava anche se poco somigliante Michelle Williams) non sia stato ritenuto un blockbuster, e quindi sia buono anche per le monosale d’essai notoriamente vuote o frequentate dai soliti (ig)noti. La risposta sta nel film stesso, caso rarissimo di adorazione per sottrazione, che invece di giocare sull’immortalità figurativa della Monroe, fa di tutto per disegnarla fragile e mortale. Certo, come viene sussurrato all’orecchio di uno stizzito Olivier (interpretato da Kenneth Branagh), quando azzecca la battuta fa sparire tutti gli altri. Il problema è che la battuta, Marilyn, la azzecca una volta su dieci, e per questo viene continuamente drogata in senso metaforico, con continui complimenti, sia in senso letterale che con le pillole che ogni sera le fanno prendere per dormire. Marilyn è vittima dello stesso sistema che l’ha eletta sua portavoce nel mondo e nel tempo, così come Elvis lo fu per il rock e i Sex Pistols per il punk.
L’appiattimento dell’icona Marilyn operato da Curtis forse potrà avere un senso per chi ha solo voglia di approfondire una storia che già conosce. A tutti gli altri resterà l’amaro in bocca per un film minimalista, calligrafico, fatto su di una diva eccessiva e inafferrabile.