È disponibile, tramite la piattaforma MUBI, la visione gratuita, in streaming, di Ashes, il nuovo cortometraggio di Apichatpong Weerasethakul, presentato, di recente, al Festival di Cannes.
Per chi non lo conoscesse, si tratta di un regista tailandese noto, per lo più, nei circuiti festivalieri della cinefilia dura e pura, ma che ha conosciuto una relativa popolarità dopo la vittoria della Palma D’Oro nel 2010, con il bizzarro Zio Bonmee che si ricorda le vite precedenti. Nel suo ultimo corto, Weerasethakul sperimenta l’utilizzo della Lomokino, una nuova Movie Camera da 35mm, di piccola taglia, agile e funzionante a manovella. Tralasciando l’evidente appeal che contraddistingue, in sé, un ritorno all’analogico (vuoi per il fascino del vintage, vuoi per una volontà un po’ snob di differenziarsi dall’egemonia del digitale) con Ashes è proprio la memoria, collettiva ed individuale, a farla da padrone in uno sfondo che vede alternarsi immagini oniriche, rappresentazioni mentali, situazioni reali. Il contrasto netto tra sonoro e visivo accompagna la visione di tutta l’operazione (salvo, come vedremo, il finale): ove il suono è nitido, l’immagine procede a tentoni, zoppicante, mostrandoci solo istantanee sfocate evocando un’apparente condizione di dormiveglia generale. E, come se non bastasse, sghembi split screen, sovrapposizioni, oscuramenti, viraggi verso colori quali viola e rosso rendono ancor più ardua la visione di un film già di per sé complicato.
Ma cosa ci mostra l’operazione, seppur in modo tanto nebuloso? Situazioni ordinarie, prima di tutto, passeggiate con il cane in una rurale campagna tailandese, cascine, animali da fattoria. Quando la scena, però, si sposta verso una manifestazione di protesta contro la Legge 112 (quella che determina il crimine di “Lesa maestà”) capiamo che il film è innanzitutto una riflessione sulla condizione della Thailandia contemporanea, un paese le cui libertà individuali sono minacciate dopo il colpo di stato militare del 2006. Da qui in poi una voce fuoricampo ci racconta, a schermo oscurato, di un sogno; un sogno in cui il cineasta disegna case e palazzi relativi al ricordo della sua città d’infanzia: Khon Kaen. Il vero snodo narrativo avviene qui, quando il ricorso alle forme antiche della tecnologia audiovisiva rimandano alla necessità della memoria. D’altronde, già le care vecchie teorie ontologiche non esitavano ad elucubrare sul rapporto che il cinema intrattiene con realtà, sogno, memoria, processi mentali.
Rimane il finale, unica concessione alla tecnologia digitale: qui l’immagine si fa fluida, definita, chiara nel rappresentare uno spettacolo pirotecnico pieno di luci, fuochi, scintillii. Scintillii che si scoprono le ceneri di una nazione. Instaurando un percorso inverso a quello che si potrebbe pensare, Apichatpong Weerasethakul, decide con il passaggio dall’analogico al digitale, di rappresentare la dura realtà.