“La mia prostata è asimmetrica”
Apparentemente spiazzante e sorprendente, ma in realtà abbastanza fedele al controverso romanzo omonimo di Don DeLillo soprattutto nei dialoghi e nella scansione temporale degli eventi, Cosmopolis manca, inspiegabilmente, della parte fondamentale del libro ambientata su un set cinematografico, l’unica in cui Eric, il miliardario protagonista, riesce a far l’amore con la moglie Elise.
Il film sembra, dunque, confermare la svolta di Cronenberg verso un raffinato cinema di parola, cerebrale fino all’eccesso, depurato da ogni elemento mélo o sentimentale e, soprattutto, in parte, anche da quegli shock visivi, che contraddistinguevano i film precedenti del regista canadese, decisamente più viscerali – ad eccezione di qualche breve sequenza violenta, come quella dell’attentato al direttore del Fondo Monetario Internazionale. Ma se i fan della prima ora potrebbero rimanere delusi da questa evoluzione di Cronenberg, a nostro parere tuttavia da seguire con prudente interesse e probabilmente ancora agli inizi, gli spettatori che non amano i film troppo seriosi e privi di ironia, invece, apprezzeranno come minimo i frequenti momenti grotteschi che Cosmopolis offre, a partire dalla voluta assurdità degli scambi di battute tra i personaggi, sintomo di un’incomunicabilità totale e del vuoto pneumatico delle relazioni, nella società contemporanea capitalistica e ipertecnologica. Così, se il pasticciere terrorista di cui è vittima Eric, con le sue torte in faccia, non può che sembrare un omaggio alla comicità slapstick, quando Eric parla di sesso con la moglie Elise, invece, è il nonsense che provoca il riso, grazie anche all’imperturbabilità e all’aplomb di un inaspettatamente azzeccato Pattinson, efficace anche nel rendere i dubbi e la crisi di personalità del personaggio, in un ruolo che vale una carriera. Per non citare la lunga sequenza in cui Eric si fa controllare la prostata dal medico, nell’oblunga limousine di uterina profondità, in cui si susseguono gli incontri del giovane miliardario con gli altri personaggi, con una ritualità da setting psicanalitico. La limousine per Eric è infatti un mondo schermato, autosufficiente, in cui rifugiarsi, mentre nelle strade infuria la rivolta, una cellula protetta e indistruttibile della società borghese, forse l’ultima, in cui, proprio come se fosse nello studio di un analista, il riccone si rilassa, si sdraia, si confessa. Espone i suoi dubbi a chi è pagato per ascoltarlo e si dibatte, confuso, tra il disordine della libido e l’angoscia di morte.