I codardi muoiono molte volte, i valorosi solo una
Hanno dovuto disintegrare i loro corpi. Cinquecento i chili di tritolo utilizzati per uccidere Giovanni Falcone e sua moglie Francesca Morvillo, insieme a Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, tre uomini della scorta. Cento sono bastati per Paolo Borsellino ed i suoi: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Attentati feroci e brutali, ancora oggi ferite aperte e inaccettabili, fonte di rabbia ma elemento imprescindibile della memoria nazionale.
La prima strage avvenne il 23 maggio 1992, a pochi chilometri da Palermo, sull’autostrada A29, nei pressi dello svincolo di Capaci; l’altra in Via D’Amelio, a Palermo, dove abitava la madre del giudice Borsellino, in una domenica pomeriggio come tante, il 19 luglio dello stesso anno.
Con queste due deflagrazioni infatti si apre e chiude la fiction tv diretta da Alberto Negrin. Scritta da Francesco Scardamaglia, coprodotta da Rai Fiction e Compagnia Leone Cinematografica, musiche di Ennio Morricone, la fiction vede nel cast oltre a Luca Zingaretti nei panni di Paolo Borsellino, anche la presenza di Lorenza Indovina (Agnese Borsellino), Enrico Ianniello (Antonio Ingroia), Davide Giordano (Manfredi Borsellino), Claudia Gaffuri (Fiammetta Borsellino), Marilù Pipitone (Lucia Borsellino), Rori Quattrocchi (la madre del giudice) e Andrea Tidona (Giammanco).
Seguita da più di otto milioni di telespettatori, la fiction I 57 giorni in onda su Rai Uno alla vigilia del ventennale in ricordo della strage di Capaci, pone l’accento sulla dimensione privata del protagonista che grazie all’intensa interpretazione di Zingaretti emerge in tutta la sua complessità: nonostante l’attore romano somigli più a Falcone che a Borsellino – ma la somiglianza fisica non è mai stata nelle intenzioni del regista – il coinvolgimento riesce, perché Zingaretti dimostra di avere intercettato nel profondo lo stato d’animo dell’uomo Borsellino, la sua grande intelligenza morale nell’attendere una fine che sapeva sarebbe inesorabilmente arrivata. I suoi 57 giorni di inquietudine, al contempo di grande lavoro e di ricerca, in una frenetica corsa contro il tempo.
Sebbene non solidissimo dal punto di vista narrativo e della scrittura, il merito del lavoro di Negrin risiede nella sua vocazione fortemente pedagogica: sembra un film destinato principalmente alle scuole, ai giovani, a tutti coloro che nel 1992 non erano nati e per cui si rende assolutamente necessaria la formazione di una coscienza civile orientata alla lotta contro l’illegalità.
Nell’intenso segmento di vita racchiuso tra la strage dell’amico Giovanni e la sua, c’è tutto il senso del loro sacrificio e della necessità, per noi, di trarre ispirazione da esso. Amava dire, Giovanni Falcone, ispirandosi ad una celebre riflessione del Giulio Cesare di Shakespeare, che “il vigliacco muore più volte al giorno, il coraggioso una volta sola”. A vent’anni dal compimento del loro tragico destino, ricordiamocelo bene: è vero, la paura è umana, ma si può scegliere di essere come Gassman e Sordi ne La Grande Guerra. Si può, anzi si deve, avere paura, senza però vivere da codardi.