Ceci n’est pas un horror
Quella casa nel bosco non è un horror. Sì, ci sono cinque ragazzotti di bell’aspetto mediamente tonti, c’è una capanna isolata dall’aria più che sinistra e ci sono pure creature malvagie in attesa di essere risvegliate.
Ma Quella casa nel bosco non è un horror nemmeno nel senso in cui lo era Scream, citazionista e postmoderno, ironico e dissacrante. La ragione di questa differenza sta proprio nell’impossibilità di dire qualcosa in più della trama: se di Scream possiamo tranquillamente raccontare, senza che la visione risulti compromessa, che è la storia di un serial killer sadico mascherato da “Urlo” di Munch, di Quella casa nel bosco ci è proibito rivelare qualcosa che vada oltre il titolo. Il nodo sta qui: l’esordio alla regia di Drew Goddard non vuole (soltanto) parlare allo spettatore, mettendo una distanza (più o meno ironica, più o meno consapevole) tra quel che si mostra e quel che si dice. Quella casa nel bosco è una pellicola che si costruisce insieme allo spettatore, inscenando (spiattellando, ben oltre la metafora) una coesistenza tra chi guarda e chi crea. Per questo il film di Goddard non è un horror: non agita terrori ancestrali, non problematizza orrori sociali, non si aggrappa alla profondità dei nostri incubi peggiori. È evidente come il film si origini da una riflessione sull’esperienza spettatoriale di un fan dell’horror, e sulle mutazioni di quell’esperienza causate dall’evoluzione del genere stesso. Quello slittamento geniale intuito da Hitchcock, quando ci trascinava via dalle sorti di Marion Crane per trapiantarci nella testa di Norman Bates. Nel 2012, ormai, abbiamo visto tutto, elaborato tutto, rimasticato tutto, sputato tutto: dallo slasher al torture porn, dal falso found footage al j-horror, conosciamo a menadito le regole del gioco. Anzi, traiamo il nostro principale piacere nel riconoscere come familiare la rimessa in scena del medesimo rituale. Quella casa nel bosco ha, come primo obiettivo, quello di divertire. Di prendere in giro, prima che il genere cui finge di appartenere, chi di quel genere si fa promotore. Bonariamente, con affetto, comprensione, partecipazione. Così, il primo e più importante pregio del film, è quello di essere potenzialmente un grandissimo spasso, e questo è il senso primario del suo racconto, dove l’autoriflessione e l’autoironia sono al servizio del divertimento e non viceversa. Certo, costruendo un film sull’identificazione tra chi guarda e chi mette in scena si presuppone come condizione necessaria e sufficiente la propensione dello spettatore di stare al gioco. Ma Goddard e Whedon (che sceneggia), prima di Quella casa nel bosco, hanno scritto Lost, Alias, Buffy, Firefly: la sfida di prescindere dalla disponibilità dello spettatore sono abituati ad accettarla (e spesso a vincerla) da tempo.
Quella casa nel bosco [The Cabin in the Woods, USA 2011] REGIA Drew Goddard.
CAST Kristen Connolly, Chris Hemsworth, Richard Jenkins, Sigourney Weaver.
SCENEGGIATURA Joss Whedon, Drew Goddard. FOTOGRAFIA Peter Deming. MUSICHE David Julyan.
Horror/Commedia, durata 95 minuti.